L’Ici per le società sportive dilettantistiche
di Guido MartinelliLa Corte di Cassazione, con due decisioni contraddittorie (sentenza n. 20334 del 26.07.2019 e n. 23053 del 17.09.2019) in materia di applicazione dell’Ici a immobili gestiti da società sportive dilettantistiche di capitale, ci induce ad analizzarne la natura.
L’articolo 90 L. 289/2002 è la norma innovatrice che ha concesso lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica anche a soggetti collettivi costituiti in forma di società di capitali e cooperative riconducibili a quelle indicate nel titolo quinto del libro quinto del codice civile.
La stessa norma prevede, espressamente, che alle medesime si applicano “le norme del codice civile”, ivi compreso, quindi, l’articolo 2247 cod. civ.. Non a caso la lettera d) del comma 18 del citato articolo 90 fa riferimento sia “all’assenza di scopo di lucro” che alla “previsione che i proventi delle attività non possono, in nessun caso, essere divisi tra gli associati”. La seconda parte non costituisce un rafforzativo della prima (non se ne comprenderebbe il senso) ma, in realtà, si riferisce proprio alle società sportive di capitali le quali sono tenute a fare lucro oggettivo (ossia svolgere attività di impresa) al fine di poter giustificare la loro collocazione tra le imprese del libro quinto del codice civile ma devono escludere il lucro soggettivo (ossia la possibilità di distribuire gli utili così conseguiti). La crescita dell’“impresa” sportiva così ideata è figlia, appunto, del reinvestimento obbligatorio degli utili. Ed è proprio questo limite quello che giustifica e legittima il trattamento di favore ai fini fiscali (vedi anche il D.Lgs. 112/2017 sulla impresa sociale).
Tale concetto appare condiviso anche dalla giurisprudenza comunitaria sul concetto di assenza di scopo di lucro. Alla domanda posta dal Giudice del rinvio se una organizzazione possa essere intesa “senza scopo lucrativo” anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze che vengono in seguito dalla stessa destinate all’esecuzione delle sue prestazioni, il Giudicante comunitario così statuisce: “… il fatto che una organizzazione realizzi del pari profitti, anche se da essa perseguiti o prodotti sistematicamente, non può porre in discussione la qualificazione iniziale di tale organizzazione fintanto che tali profitti non siano distribuiti come utili ai soci della organizzazione stessa … un’organizzazione può essere qualificata come senza scopo lucrativo anche se essa tende sistematicamente a produrre eccedenze che in seguito vengono dalla stessa destinati all’esecuzione delle sue prestazioni” (Corte di giustizia della Comunità europea sez. 5 Sentenza del 21.03.2002 n. 174).
Ne consegue che, come giustamente evidenziato dalla stessa Agenzia delle entrate nella già citata circolare 18/E/2018: “nei confronti delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro non possono trovare applicazione le disposizioni relative agli enti non commerciali recate dagli artt. 143 e seguenti del Tuir, fatte salve le specifiche eccezioni di seguito illustrate …. Da ciò consegue che può trovare applicazione nei confronti delle società sportive dilettantistiche senza fini di lucro, oltre al regime fiscale previsto dalla legge 398/91 anche in via eccezionale la disposizione contenuta nell’art. 148 comma 3 del Tuir …. Le società sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 289/02 infatti, come sopra esposto, ancorché non perseguano scopo di lucro assumono dal punto di vista della soggettività fiscale natura commerciale e sono riconducibili nell’ambito dei soggetti passivi Ires di cui all’articolo 73 comma 1 lettera a) del Tuir”.
Tale tesi era presente già nella circolare 21/E/2003: “Si chiarisce che le società sportive dilettantistiche costituite in società di capitali, ancorché non perseguono fini di lucro, mantengono, dal punto di vista fiscale, la natura commerciale e sono riconducibili, in quanto società di capitali, nell’ambito dell’articolo 87 (NDR oggi 73 e ss), comma uno, lettera A) del Tuir. L’assenza del fine di lucro non incide sulla qualificazione tributaria degli enti in questione”.
Ne consegue che, sotto il profilo fiscale, le società sportive dilettantistiche sono enti commerciali soggetti al reddito di impresa che hanno il diritto (ma, volendo, non l’obbligo) di applicare, sussistendone i presupposti, le agevolazioni di cui alla Legge 398/1991 e articolo 148, comma 3, Tuir.
Seguendo logicamente tali presupposti “la Suprema Corte, con la decisione n. 20334 ha ritenuto, in maniera condivisibile, che l’esenzione da ICI spetti esclusivamente per la gestione con modalità non commerciali di attività sportive”, pertanto: “è chiaro come tale agevolazione non possa essere riconosciuta ad un soggetto imprenditoriale… che ha notevoli dimensioni e che non svolge in modo esclusivo attività dilettantistica sportivo – ricreativa”.
In maniera inaspettata, invece, la successiva decisione (n. 23053) della stessa sezione della Corte di cassazione giunge a differente conclusione.
Partendo dal presupposto che il primo comma dell’articolo 90 L. 289/2002 equipara le società sportive di capitali alle associazioni dilettantistiche ha ritenuto di poter estendere l’esenzione ai fini Ici anche alle Ssd a meno che queste “al di là della veste formale … svolgano in concreto attività commerciale avente scopo lucrativo”.
Ciò sul presupposto, da cui si dissente per i motivi sopra illustrati, che l’articolo 90 L. 289/2002 ha creato: “un nuovo tipo di società che è appunto la società di capitali senza fini di lucro e perciò stesso non commerciale”.