La residenza convenzionale supera le presunzioni domestiche
di Marco BargagliCome noto, per valutare correttamente la residenza fiscale della persona fisica, occorre fare riferimento alle norme nazionali e internazionali di riferimento.
A livello domestico, l’articolo 2, comma 2, Tuir prevede che un soggetto passivo è residente in Italia se, per la maggior parte del periodo d’imposta:
- è iscritto nell’anagrafe della popolazione residente;
- ha il domicilio nel territorio dello Stato, definito come la sede principale degli affari e interessi (articolo 43, comma 1, cod. civ.);
- ha stabilito la residenza nel territorio dello Stato, identificabile come la dimora abituale del soggetto (articolo 43, comma 2, cod. civ.).
Anzitutto, si ricorda che la persona fisica che vuole trasferire la propria residenza fiscale all’estero, deve necessariamente cancellarsi dall’anagrafe della popolazione residente in Italia e, successivamente, iscriversi all’Aire (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero).
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’iscrizione nell’anagrafe dei soggetti residenti in altro Stato non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia della persona fisica qualora il soggetto passivo abbia nel territorio dello Stato la sua dimora abituale ovvero il proprio domicilio, inteso come sede principale dei propri affari ed interessi economici, così come delle proprie relazioni personali, dovendo il carattere soggettivo ed elettivo della scelta dell’interessato essere a tal fine contemperato con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi (cfr. Corte di cassazione, sentenza n. 13114 del 21.03.2018).
Con riferimento agli ulteriori criteri di natura sostanziale, sulla base dell’interpretazione della prassi amministrativa di riferimento, possiamo affermare che:
- la residenza è intesa come “il luogo in cui la persona fisica ha la dimora abituale”. Essa è determinata dall’abituale volontaria dimora di una persona in un determinato territorio, concorrendo a instaurare tale relazione giuridicamente rilevante sia il fatto oggettivo (stabile permanenza in un determinato luogo), sia l’elemento soggettivo (volontà di rimanervi). In merito, l’abitualità della dimora permane qualora il soggetto lavori o svolga altre attività al di fuori del comune di residenza e quindi del territorio dello Stato, purché conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l’intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali;
- il domicilio di una persona fisica coincide con “la sede principale dei suoi affari ed interessi” a prescindere dalla presenza effettiva in tale luogo, inteso in un’accezione ampia comprensiva non solo di rapporti di natura patrimoniale ed economica ma anche morali, sociali e familiari.
Ciò posto, la normativa interna sopra illustrata va necessariamente correlata con le disposizioni internazionali e, segnatamente, con le convenzioni bilaterali stipulate tra i vari allo scopo di evitare fenomeni di dual residence e, simmetricamente, di doppia residenza e doppia imposizione.
Anche la prassi operativa (circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza – volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievo internazionale”, pag. 341 e ss.), ha fornito precise indicazioni circa la gerarchia delle fonti in ambito internazionale.
In particolare, il citato documento di prassi sottolinea che i trattati internazionali, una volta recepiti dall’ordinamento italiano hanno natura sub-costituzionale e, quindi, assumono un grado superiore alla legge ordinaria rispetto alla quale assumono il rango di legge speciale confermando che, in caso di conflitto con quest’ultima, deve prevalere la norma internazionale.
In merito, la regola della prevalenza delle norme internazionali trova un preciso limite nella particolare ipotesi in cui la norma interna risulti più favorevole al contribuente, come espressamente previsto dall’articolo 169 Tuir a mente del quale “le disposizioni del presente testo unico si applicano, se più favorevoli al contribuente, anche in deroga agli accordi internazionali contro la doppia imposizione”.
A tal fine si ricorda che l’articolo 4, paragrafo 2, del modello Ocse di convenzione internazionale contro le doppie imposizioni sui redditi prevede che, quando una persona fisica è considerata residente di entrambi gli Stati Contraenti, la sua residenza è determinata con i criteri di seguito indicati:
- detta persona è considerata residente dello Stato Contraente nel quale ha un’abitazione permanente. Tuttavia, quando essa dispone di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati Contraenti, la stessa è considerata residente dello Stato Contraente nel quale le sue relazioni personali ed economiche sono più strette, individuato come il “centro degli interessi vitali”;
- se non si può determinare lo Stato Contraente nel quale detta persona ha il centro dei suoi interessi vitali, o se la medesima non ha un’abitazione permanente in alcuno degli Stati Contraenti, essa è considerata residente dello Stato Contraente in cui soggiorna abitualmente;
- se detta persona soggiorna abitualmente in entrambi gli Stati Contraenti, ovvero non soggiorna abitualmente in alcuno di essi, essa è considerata residente dello Stato Contraente del quale ha la nazionalità;
- se detta persona ha la nazionalità di entrambi gli Stati Contraenti o non ha la nazionalità di alcuno di essi, le autorità competenti degli Stati Contraenti risolvono la questione di comune accordo.
La prevalenza della norma convenzionale rispetto a quella domestica è stata confermata anche in una recente sentenza emessa dalla CTR Puglia, con la sentenza n. 2212/2019, depositata il 16 luglio 2019 che, accogliendo il ricorso del contribuente, ha sancito che il criterio da utilizzare prioritariamente per individuare la residenza fiscale è quello dell’abitazione permanente e, gradatamente, quello del centro degli interessi vitali (i.e. le relazioni personali e economiche più strette) e ancora quello del soggiorno abituale.
A tale fine, dalla documentazione prodotta in giudizio emergevano i seguenti elementi:
- la compagna e il figlio della persona fisica risiedevano tutti nella stessa abitazione in Romania, ancor prima della cancellazione dall’anagrafe della popolazione residente in Italia, come emerge dalla certificazione rilasciata dalla città di Bucarest;
- la costante permanenza del soggetto passivo nello Stato estero per motivi di lavoro, con contestuale possesso di una partecipazione totalitaria al capitale di una società rumena;
- gli incarichi rivestiti presso la Confindustria rumena che lasciavano presumere la presenza costante nel territorio estero per rappresentare gli interessi degli investitori italiani.
In definitiva, a parere del giudice del gravame, tali elementi superavano quelli di segno opposto proposti dall’Agenzia delle entrate, costituiti essenzialmente dalla circostanza che la persona fisica non si sarebbe mai separato formalmente dalla moglie residente in Italia e che con la stessa avrebbe anche contratto un mutuo per l’acquisto dell’abitazione di residenza anagrafica.