4 Ottobre 2019

L’interpretazione degli atti ai fini del registro e l’(in)certezza del diritto

di Domenico SantoroGianluca Cristofori
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La scheda di FISCOPRATICO

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 23549, depositata lo scorso 23 settembre, ha rinviato alla Corte Costituzionale la disposizione di cui all’attuale formulazione dell’articolo 20 Tur, come risultante dalle modifiche di recente apportate dall’articolo 1, comma 87, L. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018) e dall’articolo 1, comma 1084, L. 145/2018 (Legge di Bilancio 2019), nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, “prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati, salvo quanto disposto dagli articoli successivi”.

Si riapre, quindi, lo spettro di possibili contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, volte a riqualificare gli effetti giuridici prodotti da più atti presentati alla registrazione, con l’obiettivo di valorizzare l’asserita sostanza economica degli stessi, privilegiando l’“imprescindibile ed anche storicamente radicato” principio di prevalenza della sostanza sulla forma.

Volgendo lo sguardo alla prassi accertativa conosciuta prima delle succitate modifiche normative, saranno da valutare con attenzione, a mero titolo esemplificativo, le seguenti fattispecie:

  1. conferimento di azienda (o di immobili gravati da mutui), cui faccia seguito la cessione a terzi delle partecipazioni così ottenute nella società conferitaria, riqualificate in termini di cessione diretta dell’azienda o degli immobili (ex multis, Cassazione n. 12909/2018, n. 5748/2018 e n. 6758/2017);
  2. cessione della partecipazione totalitaria in una società, riqualificata in termini di cessione diretta dell’azienda;
  3. cessioni separate, ma collegabili tra loro, di una pluralità di beni funzionalmente suscettibili di destinazione e organizzazione produttiva unitaria, riqualificate in termini di cessione d’azienda (cd. cessioni d’azienda “spezzatino”ex multis, Cassazione n. 31069/2017, n. 15175/2016 e n. 1955/2015).

In merito, occorre rammentare che simili contestazioni sono state elevate in vigenza della precedente formulazione dell’articolo 20 Tur, a norma della quale “L’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.

Con l’articolo 1, comma 87, L. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018), il Legislatore è intervenuto proprio per dipanare i contrastanti orientamenti espressi dalla Corte di Cassazione, da un lato, e dalle Commissioni Tributarie di merito, oltre che dai più autorevoli commentatori, dall’altro, modificando il testo dell’articolo 20 Tur, con l’obiettivo di chiarire, una volta per tutte, che “detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte (non potrà, ad esempio, essere assimilata ad una cessione di azienda la cessione totalitaria di quote). È evidente che ove si configuri un vantaggio fiscale che non può essere rilevato mediante l’attività interpretativa di cui all’articolo 20 del Tur, tale vantaggio potrà essere valutato sulla base della sussistenza dei presupposti costitutivi dell’abuso del diritto di cui all’articolo 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente). In tale sede andrà quindi valutata, anche in materia di imposta di registro, la complessiva operazione posta in essere dal contribuente, considerando, dunque, anche gli elementi estranei al singolo atto prodotto per la registrazione, quali i fatti, gli atti e i contratti ad esso collegati. Con le modalità previste dall’articolo 10-bis della Legge 27 luglio 2000, n. 212, potrà essere, quindi, ad esempio, contestato l’abusivo ricorso ad una pluralità di contratti di trasferimento di singoli assets al fine di realizzare una cessione d’azienda” (cfr. relazione illustrativa al D.d.L. di Bilancio 2018).

Nonostante questo apprezzabile tentativo di ripristinare la certezza del diritto in ambito tributario, si è reso comunque necessario un ulteriore intervento del Legislatore (articolo 1, comma 1084, L. 145/2018), per chiarire – se ancora ve ne fosse stato bisogno – che la summenzionata modifica normativa costituisce norma di interpretazione autentica e, in quanto tale, applicabile in modo retroattivo, poiché “dichiarativa di un significato fin dall’inizio contenuto nella norma interpretata”.

Ciò al fine di porre un ulteriore argine all’interpretazione della norma nel frattempo fornita dalla Corte di Cassazione, secondo la quale, “in tema di imposta di registro, l’articolo 1, comma 87, lett. a), della l. n. 205 del 2017, modificativo dell’articolo 20 del d.P.R. n. 131 del 1986, con effetto dal 1° gennaio 2018, non ha natura interpretativa, ma innovativa, in quanto introduce limiti all’attività di riqualificazione della fattispecie precedentemente non previsti: ne deriva che tale disposizione non ha efficacia retroattiva e, pertanto, gli atti antecedenti alla data della entrata in vigore della stessa continuano ad essere assoggettati all’imposta secondo la disciplina contemplata dal detto articolo 20 del d.P.R. n. 131 del 1986 nella previgente formulazione” (ex multis, Cassazione n. 2007/2018, n. 4407/2018, n. 7637/2018 e n. 8619/2018).

Da ultimo, la Corte di Cassazione (ordinanza n. 23549/2019), enfatizzando il principio di prevalenza della sostanza sulla forma e valorizzando la funzione dell’imposta di registro, quale “vera e propria imposta che trova nell’atto stesso il presupposto rivelatore di una determinata ‘forza economica’ e, per tale via, un tipico indice di capacità contributiva”, ha rimesso la questione alla Corte Costituzionale, ritenendo che “sussistono dubbi di incompatibilità del ‘nuovo’ articolo 20 con quanto prescritto dagli articoli 53 e 3 della Costituzione”.

L’incertezza del diritto continua, quindi, a caratterizzare la materia. Basti, infatti, pensare alle situazioni che interessano:

  1. coloro che, in vigenza della precedente formulazione dell’articolo 20 Tur, si sono visti recapitare avvisi di liquidazione contenenti la riqualificazione degli atti posti in essere, con pretesa impositiva non ancora divenuta definitiva; tali soggetti hanno appreso delle succitate modifiche normative con enorme favore, prefigurando già una rapida conclusione dell’iter contenzioso per la probabile presa d’atto della piena legittimità delle operazioni poste in essere. A seguito della rimessione della questione di legittimità costituzionale della norma, è probabile attendersi ora una molteplicità di ordinanze di sospensione dei processi ancora in corso, in quanto la Corte Costituzionale è chiamata a “risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa”. In tale contesto, una declaratoria di illegittimità costituzionale frustrerebbe le chiare intenzioni del Legislatore, manifestate a più riprese nel corso degli ultimi anni, nonché le aspettative dei contribuenti che sulle stesse avevano fatto affidamento;
  2. coloro che, in vigenza della nuova formulazione dell’articolo 20 Tur, hanno ritenuto di interpellare – in via preventiva – l’Agenzia delle Entrate circa la possibile riqualificazione in chiave anti-abuso delle operazioni che avrebbero inteso porre in essere (ex articolo 10-bis dello Statuto del contribuente), non preoccupandosi, evidentemente, dell’interpretazione degli atti ai fini dell’imposta di registro (ex articolo 20 Tur), non assumendo più tale disposizione alcuna rilevanza ai fini della riqualificazione degli atti, nei termini chiaramente precisati dallo stesso Legislatore. In tale contesto, una declaratoria di illegittimità costituzionale imporrebbe qualche riflessione sull’efficacia della risposta resa dall’Agenzia delle Entrate, non tanto in chiave anti-abuso, dal momento che l’articolo 11, comma 3, dello Statuto del contribuente sancisce che “Gli atti, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli”, quanto piuttosto ai fini della riqualificazione delle operazioni poste in essere a norma dell’articolo 20 Tur. Tali soggetti potrebbero, infatti, vedersi astrattamente riqualificate le operazioni ai fini dell’imposizione indiretta, fermi restando gli effetti del positivo parere ottenuto ai fini della disciplina anti-abuso, vedendo così gravemente lesi sia il legittimo affidamento riposto nella risposta resa dall’Amministrazione finanziaria, sia – in ultima istanza – l’aspettativa di un minimo di certezza del diritto.

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