Disciplina delle società non operative per le immobiliari di costruzione
di Fabrizio RicciIvan MastrototaroNon è infrequente, nel settore delle costruzioni, che vi siano società che, ricorrendo all’affitto delle strumentazioni necessarie, ovvero in attesa delle necessarie autorizzazioni per l’esercizio della propria attività, si trovino a rilevare all’attivo di bilancio le sole rimanenze di magazzino (per un’impresa di costruzioni, verosimilmente i terreni sui quali erigere i fabbricati). Per simili società è, peraltro, del tutto fisiologico che i ricavi derivanti dall’attività esercitata siano conseguiti soltanto nel medio e lungo periodo (tipicamente, una volta ultimati i lavori di costruzione degli immobili), dovendo quindi affrontare talune annualità in perdita, anche fiscale.
Tali soggetti si trovano, quindi, a dover verificare la possibile applicazione – nei propri confronti – delle discipline di contrasto alle cd. società non operative, ovverosia la disciplina delle società di comodo di cui all’articolo 30 L. 724/1994, applicabile nei confronti dei soggetti che realizzano un ammontare di ricavi (effettivi) inferiori a quelli previsti come “minimi” (presunti) e derivanti dall’applicazione di taluni coefficienti di redditività al valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali, nonché la disciplina prevista per le cd. società in perdita sistematica di cui all’articolo 2, commi da 36-quinques a 36-duodecies, D.L. 138/2011, per le società che risultino in perdita fiscale per 5 periodi d’imposta consecutivi (ovvero, in perdita fiscale per 4 periodi d’imposta e di comodo per la restante annualità del quinquennio di osservazione).
L’applicabilità delle succitate discipline comporta talune “penalizzazioni”, in termini di:
- assoggettamento a imposizione, ai fini delle imposte sui redditi e dell’Irap, di un reddito “minimo” (presunto) derivante dall’applicazione di taluni coefficienti di redditività al valore delle immobilizzazioni materiali e immateriali;
- applicazione di una maggiorazione dell’aliquota Ires di 10,5 punti percentuali;
- divieto di compensazione “orizzontale” e di rimborso del credito Iva risultante dalla dichiarazione;
- definitiva perdita della possibilità di riportare il credito Iva a scomputo dell’Iva a debito relativa ai periodi d’imposta successivi (cd. “compensazione verticale”), “qualora ricorrano le seguenti due condizioni:
- la società o l’ente sia risultato non operativo per tre periodi di imposta consecutivi;
- la società o l’ente (risultato non operativo) non abbia effettuato – in nessuno dei menzionati tre periodi d’imposta consecutivi – operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto [n.d.R., individuate dal volume d’affari] per un importo almeno pari a quello risultante dall’applicazione delle percentuali di cui al comma 1” (cfr. circolare AdE 25/E/2007).
In relazione a tali soggetti, si segnala che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19367/2018, ha precisato che gli immobili oggetto di attività edificatoria non sono da computare nel calcolo dei ricavi “minimi” (presunti), trattandosi di immobilizzazioni in corso di realizzazione e, come tali, temporaneamente insuscettibili di produrre reddito.
In senso analogo si era, peraltro, espressa la stessa Agenzia delle Entrate con le circolari 5/E/2007 e 25/E/2007, precisando che “vanno comunque escluse le immobilizzazioni materiali e immateriali “in corso”, in quanto ancora non suscettibili di utilizzazione e, quindi, non idonee a produrre alcun tipo di provento. Le società che hanno in patrimonio soltanto immobilizzazioni in corso, […], sono esonerate dall’onere di presentare l’istanza di disapplicazione alla competente Direzione regionale”. Con l’ultimo dei succitati documenti di prassi era stato inoltre precisato che “Gli immobili iscritti in magazzino (cd. “immobili merce”), non essendo compresi tra gli asset indicati nel primo comma dell’art. 30, non rientrano nel test di operatività, ovviamente a condizione che la classificazione tra gli immobili merce sia improntata a corretti principi contabili”.
In merito si segnala che capita sovente di imbattersi in società immobiliari di costruzione che, avendo un attivo patrimoniale fisiologicamente pari a zero ai fini dell’applicazione della disciplina delle società di comodo, sarebbero da escludere dal relativo ambito di applicazione, evidenziando, infatti, ricavi minimi presunti pari a zero, a fronte di ricavi effettivi altrettanto fisiologicamente pari a zero (e, quindi, non inferiori rispetto ai primi) quantomeno negli anni in cui la società svolge un’attività prodromica al realizzo dei relativi ricavi, riscontrabile soltanto una volta che siano stati ultimati i lavori di costruzione e venduti gli immobili così costruiti.
In questa precisa circostanza, di esatta uguaglianza tra ricavi minimi (presunti) e ricavi effettivi, l’applicabilità – oppure no – della disciplina di contrasto alle società non operative si pone non tanto in funzione delle “penalizzazioni” previste ai fini delle imposte sui redditi (dal momento che il reddito minimo risulterebbe comunque pari a zero), quanto piuttosto in relazione alle penalizzazioni previste ai fini dell’Iva, in termini di divieto di compensazione “orizzontale” e/o di rimborso del credito Iva risultante dalla dichiarazione annuale, oltre che di definitiva perdita della possibilità di compensare “verticalmente” tale credito al ricorrere delle succitate condizioni, essendo infatti ben possibile che tali società non abbiano effettuato, per tre periodi d’imposta consecutivi, alcuna operazione rilevante ai fini dell’Iva, proprio a motivo della ciclicità che connota l’attività dalle stesse esercitata.
Con riguardo a tale ultima penalizzazione, affinché possa trovare applicazione, il dato normativo esige che la società “non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non inferiore all’importo che risulta dalla applicazione” dei ricavi minimi presunti.
Dal tenore letterale della norma parrebbe, quindi, evincersi piuttosto chiaramente che, nel caso in cui le operazioni rilevanti ai fini dell’Iva siano di ammontare pari o superiore ai ricavi minimi presunti, la società non possa subire la definitiva perdita della possibilità di compensare il credito Iva. In tal senso, parrebbe peraltro deporre la stessa Agenzia delle Entrate, secondo la quale la preclusione alla riportabilità del credito Iva trova applicazione nel caso in cui la società “non abbia effettuato – in nessuno dei menzionati tre periodi d’imposta – operazioni rilevanti ai fini Iva per un importo almeno pari a quello risultante in applicazione delle percentuali di cui al comma 1”.
Parrebbe chiaro l’intento del Legislatore di ritenere applicabile la succitata penalizzazione ai fini dell’Iva soltanto quando i ricavi minimi presunti fossero maggiori (e non anche qualora fossero uguali) al volume d’affari realizzato dalla società, dovendosi logicamente escludere l’applicazione della penalizzazione nell’ipotesi in cui i ricavi minimi presunti e le operazioni rilevanti ai fini dell’Iva fossero di pari importo.
Nell’ipotesi in cui vi fossero società immobiliari in condizioni analoghe a quelle ipotizzate ne dovrebbe quindi conseguire che, nonostante queste potrebbero ritenersi attratte all’ambito di applicazione della disciplina delle società non operative (ad esempio, perché in perdita sistematica), l’unica penalizzazione che subirebbero in termini sostanziali sarebbe rappresentata dall’impossibilità di compensare orizzontalmente (ai sensi dell’articolo 17 D.Lgs. 241/1997) e/o chiedere a rimborso il credito Iva risultante dalla dichiarazione annuale, non certo la definitiva perdita dello stesso nei casi in cui i ricavi minimi presunti e le operazioni rilevanti ai fini Iva fossero di pari importo, né tantomeno penalizzazioni ai fini delle imposte sui redditi, dal momento che il reddito minimo risulterebbe comunque pari a zero.