20 Novembre 2019

Accollo del debito d’imposta altrui e divieto di compensazione

di Clara PolletSimone Dimitri
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La scheda di FISCOPRATICO

In un precedente intervento avevamo già trattato il divieto dell’accollo del debito tributario; il decreto fiscale pone (si spera) la parola fine su un argomento che negli anni ha generato purtroppo diversi danni a discapito dei contribuenti e delle casse dello Stato.

L’articolo 1 D.L. 124/2019 disciplina l’accollo del debito di imposta altrui, previsto dallo Statuto del contribuente. In particolare, le norme vietano esplicitamente il pagamento del debito accollato mediante compensazione; se il contribuente viola tale divieto, il pagamento si considera non avvenuto e sono irrogate sanzioni differenziate per l’accollante e l’accollato.

Il comma 2 dello Statuto del contribuente consente l’accollo del debito d’imposta altrui, senza tuttavia che ciò comporti la liberazione del contribuente originario. Rispetto all’accollo previsto ai fini civilistici, le disposizioni sull’accollo tributario non consentono l’adesione del creditore, né la possibilità di opporre allo stesso le eccezioni fondate sull’accordo sotteso. L’Agenzia delle entrate, interpellata sulle modalità corrette di estinzione del debito d’imposta oggetto di accollo, nella risoluzione 140/E/2017 ha fornito alcuni importanti chiarimenti sul funzionamento dell’istituto, che avrebbe dovuto ricevere compiuta attuazione con un decreto ministeriale, ad oggi mai emanato (articolo 8, comma 6, dello Statuto del contribuente).

Richiamando la giurisprudenza sull’argomento, nel citato intervento di prassi l’Agenzia ha precisato che l’assunzione volontaria dell’impegno di pagare le imposte dovute dall’iniziale debitore non significa “assumere la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale”, tanto che l’Amministrazione finanziaria non può esercitare nei confronti degli accollanti i propri poteri di accertamento e di esazione, che possono essere esercitati solo nei confronti di chi sia tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale (Cass. S.U. n. 28162 del 2008).

Sulla base dei richiamati presupposti l’Agenzia ha negato la possibilità di soddisfare il debito tributario mediante compensazione nel caso di accollo. L’istituto della compensazione, fatte salve limitate eccezioni previste specificamente da disposizioni normative ad hoc, è consentito solo tra debiti e crediti in essere tra i medesimi soggetti e non tra soggetti distinti.

Veniamo alle novità in argomento. L’articolo 1, comma 1, D.L. 124/2019 mantiene la possibilità di accollo nel rispetto delle citate norme dello Statuto del contribuente, disponendo che i relativi pagamenti seguano le modalità disposte dalla legge, mentre il comma 2 esplicita il divieto di pagamento del debito accollato mediante compensazione.

Nel caso di violazione del divieto di compensazione dell’accollante, il comma 3 prevede che i pagamenti effettuati in compensazione si considerano come non avvenuti a tutti gli effetti di legge. Inoltre, trovano applicazione le sanzioni per ritardati od omessi versamenti diretti e per le altre violazioni in materia di compensazione, ai sensi dell’articolo 13 D.Lgs. 471/1997.

In deroga alla disciplina generale prevista in materia di sanzioni tributarie, le sanzioni per la violazione della disciplina sul divieto di compensazione sono irrogate con atti di recupero da notificare, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello in cui è stata presentata la delega di pagamento (comma 4). Si ricorda che, generalmente, gli atti di contestazione delle sanzioni o quelli di irrogazione sono notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione (articolo 20, D.Lgs. 472/1997), o nel diverso termine previsto per l’accertamento dei singoli tributi.

In coerenza con l’impianto sanzionatorio delineato dall’Agenzia delle entrate nella citata risoluzione 140/E/2017, in caso di violazioni sono irrogate:

a) all’accollante le sanzioni pari al 30% del credito, se il credito indebitamente compensato è esistente, o dal 100 al 200% dell’importo, laddove il credito sia inesistente (articolo 13, commi 4 o 5, D.Lgs. 471/1997);

b) all’accollato la sanzione pari al 30% del dovuto (articolo 13, comma 1, D.Lgs. 471/1997), recuperando l’imposta dovuta e gli interessi, importi dovuti per i quali l’accollante è coobbligato in solido.

La norma rimanda, infine, ad un provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate l’individuazione delle ulteriori disposizioni attuative (comma 5).

Tale intervento completa il quadro delle disposizioni introdotte dal legislatore con il decreto fiscale, orientate all’incremento dei controlli sulle compensazioni indebite dei crediti tributari. Sul tema si segnalano:

  • l’inibizione all’utilizzo di crediti in compensazione per le partite Iva cessate ovvero escluse dalla banca dati dei soggetti che effettuano operazioni intracomunitarie (articolo 2 D.L. 124/2019);
  • la possibilità di compensare i crediti – per importi superiori a 5.000 euro annui – solo a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui emerge il credito stesso e l’utilizzo esclusivamente dei servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate per la presentazione di F24 in compensazione (articolo 3 D.L. 124/2019).

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