L’ammissibilità dell’impugnazione tardiva
di Luigi FerrajoliNel processo tributario l’articolo 38, comma 3, D.Lgs. 546/1992 prevede espressamente che “se nessuna delle parti provvede alla notificazione della sentenza, si applica l’articolo 327, comma 1, c.p.c.. Tale disposizione non si applica se la parte non costituita dimostri di non aver avuto conoscenza del processo per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione d’udienza”.
Anche in ambito tributario i termini per le impugnazioni si distinguono:
a) in breve, ossia sessanta giorni dalla data di notifica della sentenza dalla parte interessata;
b) in lungo, ossia sei mesi a decorrere dalla pubblicazione della sentenza, indipendentemente dalla notifica del provvedimento.
Tale principio è stato ripreso e ribadito dall’ordinanza n. 25727 emessa dalla Corte di Cassazione, Sezione Sesta Civile, in data 14 ottobre 2019.
Nel caso di specie, i contribuenti avevano proposto ricorso avverso l’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate, avente ad oggetto le maggiori imposte di registro, ipotecaria e catastale dovute per la registrazione della sentenza del Tribunale di Roma, la quale aveva disposto la riconsegna dell’immobile ai precedenti proprietari, precedentemente espropriato dal Comune.
Il ricorso proposto in primo grado dai contribuenti veniva rigettato dalla CTP competente; la decisione sfavorevole veniva successivamente confermata in appello.
Sennonché la segreteria della CTR adita aveva omesso di comunicare ai contribuenti l’avviso di fissazione dell’udienza di trattazione e il successivo deposito del dispositivo della sentenza di secondo grado.
I contribuenti venivano a conoscenza della sentenza sfavorevole di secondo grado solo successivamente, quando il c.d. “termine lungo” per proporre ricorso in cassazione era già abbondantemente scaduto.
Nonostante ciò, i ricorrenti decidevano di proporre ricorso, chiedendo la rimessione in termini, essendo incorsi in decadenza non imputabile agli stessi, ma esclusivamente per mancata comunicazione da parte della segreteria della CTR.
La Corte di Cassazione, sulla base di un consolidato precedente principio giurisprudenziale, ha ritenuto infondato il ricorso.
In particolare la Corte ha ribadito (Cass. Civ. n. 9330/2017) che “nel processo tributario l’ammissibilità dell’impugnazione tardiva, oltre il termine “lungo” dalla pubblicazione della sentenza, previsto dall’articolo 38, comma 3, D. Lgs. n. 546/1992, presuppone, tuttavia, che la parte dimostri “l’ignoranza del processo”, ossia di non averne avuto alcuna conoscenza per nullità della notificazione del ricorso e della comunicazione dell’avviso di fissazione dell’udienza, situazione che non si ravvisa in capo al ricorrente costituito in giudizio, cui non può dirsi ignota la proposizione dell’azione, dovendosi ritenere tale interpretazione conforme ai principi costituzionali ed all’ordinamento comunitario, in quanto diretta a realizzare un equilibrato bilanciamento tra le esigenze del diritto di difesa ed il principio di certezza delle situazioni giuridiche. Né assume rilievo l’omessa comunicazione della data di trattazione, che è deducibile quale motivo di impugnazione ai sensi dell’articolo 161, comma 1, c.p.c., in mancanza della quale la decisione assume valore definitivo in conseguenza del principio del giudicato”.
Infatti il termine lungo per l’impugnazione decorre dalla pubblicazione della sentenza e, quindi, dal suo deposito in cancelleria, non dalla comunicazione da parte dei cancellieri alle parti, ai sensi dell’articolo 37, comma 2, D.Lgs. 546/1992, trattandosi quest’ultima di mera attività informativa, completamente estranea al procedimento di pubblicazione, della quale non è elemento costitutivo, né requisito di efficacia.
Nella fattispecie de qua, sulla base di tali principi, la Corte ha ritenuto non applicabile l’invocata rimessione in termini, ex articolo 153, comma 2, c.p.c., pur essendo tale istituto previsto anche nel procedimento tributario.
In particolare, la Corte ha precisato che nel caso de quo non si può applicare la rimessione in termini in quanto si è appurato di non essere in presenza di un errore di diritto inescusabile, non integrante un fatto impeditivo della tempestiva proposizione della impugnazione, estraneo alla volontà della parte e della prova del quale quest’ultima è onerata.
Infatti, a parere della Corte, la causa non imputabile che legittima la rimessione in termine riguarda esclusivamente il verificarsi di un evento che:
a) presenti il carattere della assolutezza e non di una mera impossibilità relativa o di una mera difficoltà;
b) sia in rapporto causale determinante con il verificarsi della decadenza.
In considerazione di ciò, la Corte ha rigettato il ricorso e ha condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di lite in favore dell’Ente.