18 Dicembre 2019

Accertamento ante tempus e prova delle specifiche ragioni di urgenza

di Angelo Ginex
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Come noto, l’articolo 12, comma 7, L. 212/2000 prevede che, nel rispetto del principio di cooperazione tra Amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del PVC da parte degli organi di controllo, quest’ultimo possa comunicare, entro 60 giorni, osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori.

La norma de qua, nel riconoscere al contribuente il diritto al contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria, prevede altresì che l’avviso di accertamento non possa essere emanato prima del decorso di 60 giorni dalla consegna del PVC (c.d. accertamento ante tempus), salvo casi di “particolare e motivata urgenza”.

Con specifico riguardo ai casi di urgenza, le Sezioni Unite, con sentenza n. 18814/2013, hanno affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la disposizione in esame deve essere interpretata nel senso che l’inosservanza del termine di 60 giorni per l’emanazione dell’accertamento determina, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus.

Tale interpretazione trova il suo fondamento nei principi di collaborazione e buona fede che devono improntare i rapporti tra Fisco e contribuente, in ossequio ai superiori principi costituzionali di buon andamento ed imparzialità della P.A., con la diretta conseguenza che il termine dilatorio di 60 giorni, in quanto destinato a favorire il contraddittorio tra le parti, deve essere rispettato.

Sennonché, le Sezioni Unite, con sentenza n. 24823/2015, hanno limitato l’applicazione dell’articolo 12, comma 7, L. 212/2000 alle sole ipotesi di provvedimenti conseguenti a verifiche eseguite presso la sede del contribuente, precisando altresì che non esiste nel nostro ordinamento un obbligo generalizzo per l’Amministrazione di attivare il contraddittorio prima dell’emissione dell’atto impositivo, salvo che non sia espressamente previsto dalla legge.

Ciò detto, costituisce orientamento consolidato nella giurisprudenza di legittimità quello secondo cui l’Amministrazione non incorre nella illegittimità dell’atto se motiva le ragioni di urgenza che non hanno consentito il rispetto del termine dilatorio in questione.

Al riguardo, i giudici di vertice hanno rilevato che non costituisce una causa di urgenza l’imminente scadenza del termine di accertamento, giacchè il Fisco deve dimostrare che l’inosservanza sia dovuta a circostanze che abbiano ritardato incolpevolmente l’accertamento o abbiano reso difficoltoso il pagamento; tra queste sono contemplate le insolvenze del contribuente, reiterate condotte penali o partecipazione a frodi fiscali poste in essere dallo stesso, ossia situazioni in cui la tempestiva emissione dell’accertamento è necessaria per garantire la salvaguardia degli interessi erariali (Cfr., Cass. 7598/2016; Cass. 2587/2014; Cass. 27911/2013).

Sulla questione si registra un recente intervenuto della Suprema Corte, la quale con ordinanza n. 32081 del 9.12.2019 si è pronunciata sulla legittimità o meno degli avvisi di accertamento con cui vengano recuperati a tassazione maggiori redditi conseguiti per effetto del disconoscimento di fatture per operazioni inesistenti, sul presupposto che l’emissione ante tempus dell’accertamento sia giustificata da specifiche ragioni di urgenza e, segnatamente, dalla gravità della condotta lesiva delle ragioni erariali posta in essere dalla contribuente.

Orbene, i giudici di legittimità – in continuità con i precedenti orientamenti formatisi in materia – hanno innanzitutto rilevato che l’articolo 12, comma 7, L. 212/2000 impone un termine per l’esercizio dell’azione amministrativa piuttosto che un obbligo di motivazione circa il requisito dell’urgenza nell’emissione, anticipata, dell’atto impositivo (Cfr., Cass. 11944/2012, Cass. 18184/2012, Cass. 24316/2014).

Ne discende, dunque, che in presenza di casi di urgenza, l’effetto derogatorio del termine di 60 giorni opera a prescindere dalla sua esternazione all’interno dell’atto impositivo, non essendo richiesto né dallo Statuto dei diritti del contribuente, né da altre specifiche disposizioni, a meno che vi sia contestazione da parte del contribuente, nel qual caso è onere dell’Ufficio allegare e provare la sussistenza in concreto delle ragioni dell’urgenza.

Peraltro, il vizio invalidante l’atto impositivo emesso ante tempus – come recentemente precisato dalla Corte di Cassazione – non consiste nell’omessa enunciazione dei motivi di urgenza, bensì nell’assenza di tale requisito, la cui ricorrenza deve essere provata dall’ufficio con riferimento alla fattispecie concreta (Cfr., Cass. 27623/2018).

Nella specie, invece, i giudici di secondo grado, erroneamente, si sono limitati a sottolineare in sentenza che l’avviso di accertamento enunciava le ragioni di urgenza (ossia, la condotta lesiva degli interessi erariali), ma hanno tuttavia omesso di accertare in cosa si fosse manifestata tale condotta lesiva.

In definitiva, quindi, deve ritenersi che, anche nel caso in cui si invochi la gravità della condotta lesiva delle ragioni erariali derivante da operazioni inesistenti, l’inosservanza del termine di cui al citato articolo 12 non è ex se legittima, ma è necessario che l’Amministrazione offra la prova della sussistenza, in concreto, di tale condotta.

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