Cooperazione internazionale e contrasto all’evasione
di Marco BargagliNel contesto europeo, sulla base delle direttive comunitarie emanate nel tempo, l’articolo 60-bis D.P.R. 600/1973 prevede che l’Amministrazione finanziaria può richiedere all’autorità competente di un altro Stato membro di notificare al destinatario, secondo le norme sulla notificazione dei corrispondenti atti vigenti nello Stato membro interpellato, tutti gli atti e le decisioni degli organi amministrativi dello Stato relativi all’applicazione della legislazione interna sulle imposte indicate nell’articolo 2 Direttiva 2011/16/UE del 15 febbraio 2011 del Consiglio, che ha abrogato la sopra indicata Direttiva 77/799/CEE del 19 dicembre 1977.
Di contro, in ambito extra-Ue, l’Amministrazione finanziaria italiana può attivare ulteriori strumenti investigativi, sulla base delle seguenti disposizioni internazionali:
- articolo 26 dell’OECD Model Tax Convention on Income and Capital e relativo Commentario;
- Modello di Tax Information Exchange Agreement, elaborato dall’OCSE con la finalità di agevolare la cooperazione fiscale internazionale e, nel contempo, definire uno standard di scambio di informazioni in linea con le raccomandazioni Ocse (for the purposes of the OECD’s initiative on harmful tax practices).
- Convention on Mutual Administrative Assistance on Tax Matters (Convenzione MAAT, nota anche come “Convenzione di Strasburgo del 1988”).
Ciò posto, vediamo nel dettaglio come opera la cooperazione internazionale quale idoneo strumento di contrasto all’evasione fiscale.
Esempio n. 1: esterovestizione societaria
Nel corso di una verifica fiscale condotta nei confronti di Alfa S.p.A. i funzionari del Fisco hanno riqualificato sul territorio dello Stato italiano la residenza fiscale di una controllata di diritto americano e, pertanto, si è reso necessario ricostruire tutti i redditi sottratti a tassazione previa acquisizione dei bilanci e delle dichiarazioni di redditi.
In tale ipotesi, l’Amministrazione fiscale ha utilizzato la Convenzione internazionale stipulata tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo degli Stati Uniti d’America per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le frodi o le evasioni fiscali e, segnatamente, l’articolo 26 dell’accordo bilaterale che testualmente recita: “Le autorità competenti degli Stati contraenti si scambieranno le informazioni necessarie per applicare le disposizioni della presente Convenzione o quelle delle leggi interne degli Stati contraenti relative alle imposte previste dalla Convenzione, nella misura in cui la tassazione che tali leggi prevedono non è contraria alla Convenzione, nonché per evitare le frodi o le evasioni fiscali…
Le informazioni ricevute da uno Stato contraente saranno tenute segrete, analogamente alle informazioni ottenute in base alla legislazione interna di detto Stato e saranno comunicate soltanto alle persone od autorità (ivi compresi l’autorità giudiziaria e gli organi amministrativi) incaricate dell’accertamento o della riscossione delle imposte previste dalla presente Convenzione, delle procedure o dei procedimenti concernenti tali imposte, o delle decisioni di ricorsi presentati per tali imposte. Le persone od autorità sopra citate utilizzeranno tali informazioni soltanto per questi fini. Esse potranno servirsi di queste informazioni nel corso di udienze pubbliche o nei giudizi”.
Esempio n. 2: Treaty shopping
Nell’ambito di una verifica fiscale eseguita nei confronti di BETA S.p.A. si è ipotizzata l’interposizione fittizia di una società comunitaria. Quindi, si è reso necessario verificare se la casa madre olandese, a cui la controllata italiana ha pagato interessi passivi, abbia poi retrocesso – in rapida scansione temporale – i flussi reddituali alla parent company residente in uno Stato EXTRA–UE.
In questo caso, l’Amministrazione fiscale ha richiesto all’Autorità fiscale olandese le pertinenti notizie (ex articolo 60-bis D.P.R. 600/1973) acquisendo anche i bilanci e gli altri documenti di natura extracontabile necessari ai fini ispettivi.
Proprio con riferimento all’utilizzabilità dei dati acquisiti in esito alle procedure di cooperazione fiscale internazionale, è recentemente intervenuta la suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 27126 del 23.10.2019, la quale ha confermato la legittimità di un avviso di accertamento emesso anche senza formalmente allegare la documentazione acquisita dalla competente Autorità fiscale estera.
In merito, il soggetto passivo aveva lamentato la nullità degli atti impugnati stante l’obbligo, non ottemperato, di allegazione di tutti gli atti menzionati negli avvisi di accertamento aventi ad oggetto lo scambio d’informazioni.
Infatti, il contribuente doveva essere messo in condizione di poter compiutamente spiegare il proprio diritto di difesa, permanendo l’onere per l’Amministrazione finanziaria di provare la legittimità delle modalità di acquisizione della documentazione posta a fondamento degli accertamenti impugnati.
Gli ermellini, accogliendo la tesi proposta da parte dell’Agenzia delle Entrate, hanno precisato che: “In tema di accertamento tributario, è legittima l’utilizzazione di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche acquisito in modo irrituale, ad eccezione di quelli la cui inutilizzabilità discende da specifica previsione di legge e salvi i casi in cui venga in considerazione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, donde l’utilizzabilità ai fini della pretesa fiscale, purché nel contraddittorio con il contribuente, dei dati acquisiti tramite scambio d’informazioni avvenuto ai sensi della Direttiva del Consiglio dell’Unione europea n. 77/799/CEE del 19 dicembre 1977”.
Sul punto, anche se non formalmente allegata all’atto di accertamento, in sede di contraddittorio endoprocedimentale era stata offerta in visione al contribuente tutta la documentazione di riferimento, che doveva, quindi, ritenersi dallo stesso conosciuta.