25 Gennaio 2020

Società non responsabile solo per atti non riconducibili all’oggetto sociale

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

Come noto, la questione relativa alla natura del rapporto intercorrente tra società di capitali e amministratori ha da sempre animato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, dando vita a due teorie contrapposte.

Da un lato, vi è la c.d. “teoria contrattualistica”, che ha qualificato tale rapporto come meramente negoziale, evidenziando al riguardo che i reciproci diritti e obblighi delle parti sorgono per effetto di un accordo tra le stesse, sicché l’amministratore e la società costituiscono autonomi centri di interesse.

Dall’altro lato, invece, vi è la c.d. “teoria organica”, che valorizza la figura dell’amministratore quale organo amministrativo della società (Amministratore Unico o C.d.A.), ossia come organo esecutivo della stessa, dotato di autonomi poteri di gestione.

Sul punto, la giurisprudenza ha osservato che: «la società, per il principio dell’immedesimazione organica, risponde civilmente degli atti commessi dall’organo amministrativo nell’esercizio delle sue funzioni, ancorché l’atto dannoso sia stato compiuto dall’organo medesimo con dolo o con abuso di potere, ovvero esso non rientri nella competenza degli amministratori, ma dell’assemblea, richiedendosi unicamente che l’atto stesso sia, o si manifesti, come esplicazione dell’attività della società, in quanto tenda al conseguimento dei fini istituzionali di questa, e tali responsabilità si aggiunge, ove ne ricorrano i presupposti, a quella degli amministratori, prevista dall’articolo 2395 cod. civ.» (Cfr., Cass. n. 20704/2014; Cass. n. 25946/2011).

Peraltro, costituisce principio costante e consolidato quello secondo cui la commissione di un illecito da parte del legale rappresentante di un ente non interrompe il rapporto di immedesimazione organica e non esclude, pertanto, che del fatto possa rispondere anche l’ente, su vari piani, compreso quello fiscale, fatta eccezione per la sola responsabilità penale, avente carattere personale (Cfr., Cass. n. 12675/2018).

Ne discende, dunque, che tale rapporto di immedesimazione organica viene meno solo allorquando gli atti posti in essere dall’amministratore non rispondano a un interesse riconducibile, anche indirettamente, all’oggetto sociale (Cfr., Cass. n. 20704/2014).

Sulla questione si è recentemente pronunciata la Suprema Corte con sentenza n. 34482 del 27.12.2019, ove essa ha escluso – come peraltro argomentato dalla CTR competente – che le operazioni effettuate fossero «finalizzate all’esclusivo interesse personale dell’amministratore, in prospettato conflitto di interessi con la società, la quale si è obiettivamente avvantaggiata (anche in conseguenza della sottrazione alle legittime pretese tributarie) dell’abusiva condotta del proprio apicale».

In particolare, la CTR competente aveva accertato in punto di fatto che:

  • il legale rappresentante della società, nonché suo socio di maggioranza, aveva agito in nome e per conto della stessa;
  • delle operazioni commerciali dallo stesso compiute si era avvantaggiata la società, anche in conseguenza del mancato pagamento delle imposte dovute, sicché le suddette operazioni non potevano ritenersi finalizzate all’esclusivo interesse dell’amministratore.

In altri termini, i giudici di vertice, per un verso, hanno ritenuto che nel caso di specie non sussistesse il conflitto di interessi con la società; per altro verso, hanno evidenziato come le operazioni (acquisti e cessioni) poste in essere dal legale rappresentante della S.r.l. fossero riconducibili all’oggetto sociale, con conseguente responsabilità della società non solo delle imposte dovute e non versate, ma anche delle relative sanzioni.

La Suprema Corte ha quindi ritenuto corretta la statuizione della CTR competente in merito alla responsabilità della società per le operazioni innanzi richiamate; la medesima ha invece accolto il motivo di ricorso con cui la società ricorrente ha dedotto la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’articolo 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 4, c.p.c.

Ed invero, la Corte di Cassazione ha evidenziato la illogicità della motivazione resa dal giudice di appello, nonché l’eccentricità della stessa rispetto all’oggetto della decisione, atteso che l’accertamento era basato sulle risultanze delle indagini bancarie effettuate, mentre la CTR competente ha fatto riferimento alla corretta percentuale di ricarico sugli acquisti applicata dall’Ufficio.

In conclusione, la Corte ha cassato la sentenza impugnata in relazione alla motivazione sulla ricostruzione dei ricavi, rinviando alla CTR Campania, in diversa composizione, per un nuovo esame della fattispecie.

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