25 Febbraio 2020

Attività delle odv non soggette a Iva fino all’entrata in vigore della riforma

di Guido MartinelliMarta Saccaro
Scarica in PDF
La scheda di FISCOPRATICO

Con la risposta ad un’istanza di interpello n. 50 del 12 febbraio 2020 all’Agenzia delle Entrate viene offerta l’occasione di affrontare il tema del regime Iva applicabile alle organizzazioni di volontariato in “pendenza” dell’entrata in vigore della riforma recata dal Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017).

Nello specifico, la questione è relativa alla legittima esclusione dall’ambito soggettivo Iva per un’organizzazione di volontariato che, sulla base di una specifica convenzione, riceve contributi da un’amministrazione pubblica a rimborso delle spese sostenute per un determinato progetto.

La norma di riferimento è l’articolo 8, comma 2, primo periodo, L. 266/1991, che prevede, tra l’altro, che “le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui all’articolo 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni di beni, né prestazioni di servizi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto“.

Questa disposizione è stata in passato oggetto di interpretazioni equivoche e contrastanti da parte dell’Amministrazione finanziaria che, però, è arrivata ad una conclusione nella circolare 217/E/2000, dove è stata espressa l’opinione secondo cui “il tenore letterale della norma porta a ritenere che le operazioni agevolate cui la stessa si riferisce siano solo quelle poste in essere dalle predette organizzazioni (operazioni attive)”.

In pratica, le organizzazioni di volontariato costituite ai sensi della L. 266/1991 non sarebbero tenute ad aprire la partita Iva se non svolgono attività diverse da quelle “commerciali e produttive marginali” individuate dal D.M. 25.05.1995.

Ciò risulta indirettamente confermato dall’articolo 30, comma 5, D.L. 185/2008, dove viene affermato che vanno considerate Onlus “di diritto” (e quindi sono escluse dalla trasmissione del modello EAS) solo quelle organizzazioni di volontariato che non svolgono attività diverse da quelle marginali sopra richiamate.

Per le organizzazioni di volontariato, quindi, l’elenco delle fonti di entrata contenuto nell’articolo 5 L. 266/1991 sarebbe tassativo: tra queste entrate figurano anche i rimborsi derivanti da convenzioni.

E, quindi, per tornare al contenuto della risposta all’interpello in commento, l’attività svolta rientra tra quelle di interesse generale dirette al perseguimento delle finalità tipiche delle organizzazioni di volontariato e, di conseguenza, l’associazione – che risulta regolarmente iscritta al Registro regionale – “non è tenuta ad aprire la partita Iva né ad emettere la fattura elettronica nei confronti dello stesso Ministero” che corrisponde il contributo.

La risposta all’interpello si preoccupa in più parti di ribadire che la disciplina contenuta nella L. 266/1991 resterà in vigore fino al periodo d’imposta successivo a quello di operatività del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (secondo quanto prevede l’articolo 104, ultimo comma, D.Lgs. 117/2017).

Non viene, però, approfondito cosa succederà una volta entrate in vigore le nuove disposizioni e una volta che la L. 266/1991 risulterà definitivamente abrogata.

L’unico riferimento contenuto nell’interpello è infatti all’articolo 33 D.Lgs. 117/2017 che, all’ultimo comma, ricorda che “per l’attività di interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6” dello stesso D.Lgs. 117/2017.

In pratica, sembra dire l’Agenzia, ciò che puoi fare ora lo potrai fare anche in futuro.

Attenzione, però: se è lecito pensare che le nuove regole riguardino le imposte sui redditi, nessun riferimento, in alcuna delle disposizioni del D.Lgs. 117/2017 dedicate alle organizzazioni di volontariato, è posto per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto.

Mentre, infatti, la normativa della L. 266/1991 escludeva espressamente dall’ambito Iva l’attività svolta dalle organizzazioni di volontariato, nessuna traccia di esclusione soggettiva è invece contenuta nel D.Lgs. 117/2017.

Risulta anzi abbastanza pacifico che l’attività di carattere corrispettivo svolta dalle odv, una volta entrata in vigore la nuova disciplina, sarà comunque soggetta a Iva.

Stiamo parlando, quindi, oltre che delle attività commerciali marginali anche delle raccolte di fondi svolte con carattere di abitualità o, come nel caso oggetto dell’intervento dell’Agenzia delle Entrate, dei corrispettivi da convenzione con enti pubblici.

Prova ne sia la circostanza che l’articolo 86 D.Lgs. 117/2017 individua un regime forfettario di determinazione delle imposte che esplica effetti anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.

E, se è vero che grazie a questo particolare regime forfettario le odv non applicano l’Iva sulle proprie fatture, è però altrettanto vero che alla normativa è posto un limite di ricavi, pari a 130.000,00 euro (limite che, peraltro, risulta “scaduto” al 31 dicembre 2019).

Per chi dovesse avere entrate di natura commerciale per importi superiori, il regime forfettario non sarebbe applicabile e si dovrebbe passare ad un regime Iva ordinario.

Molte odv che superano il predetto limite con le proprie entrate caratteristiche – attualmente prive di imposizione Iva – dovrebbero quindi cominciare seriamente a preoccuparsi e ad attrezzarsi per gestire al meglio il cambiamento di regime.