Attività delle odv non soggette a Iva fino all’entrata in vigore della riforma
di Guido MartinelliMarta SaccaroCon la risposta ad un’istanza di interpello n. 50 del 12 febbraio 2020 all’Agenzia delle Entrate viene offerta l’occasione di affrontare il tema del regime Iva applicabile alle organizzazioni di volontariato in “pendenza” dell’entrata in vigore della riforma recata dal Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017).
Nello specifico, la questione è relativa alla legittima esclusione dall’ambito soggettivo Iva per un’organizzazione di volontariato che, sulla base di una specifica convenzione, riceve contributi da un’amministrazione pubblica a rimborso delle spese sostenute per un determinato progetto.
La norma di riferimento è l’articolo 8, comma 2, primo periodo, L. 266/1991, che prevede, tra l’altro, che “le operazioni effettuate dalle organizzazioni di volontariato di cui all’articolo 3, costituite esclusivamente per fini di solidarietà, non si considerano cessioni di beni, né prestazioni di servizi ai fini dell’imposta sul valore aggiunto“.
Questa disposizione è stata in passato oggetto di interpretazioni equivoche e contrastanti da parte dell’Amministrazione finanziaria che, però, è arrivata ad una conclusione nella circolare 217/E/2000, dove è stata espressa l’opinione secondo cui “il tenore letterale della norma porta a ritenere che le operazioni agevolate cui la stessa si riferisce siano solo quelle poste in essere dalle predette organizzazioni (operazioni attive)”.
In pratica, le organizzazioni di volontariato costituite ai sensi della L. 266/1991 non sarebbero tenute ad aprire la partita Iva se non svolgono attività diverse da quelle “commerciali e produttive marginali” individuate dal D.M. 25.05.1995.
Ciò risulta indirettamente confermato dall’articolo 30, comma 5, D.L. 185/2008, dove viene affermato che vanno considerate Onlus “di diritto” (e quindi sono escluse dalla trasmissione del modello EAS) solo quelle organizzazioni di volontariato che non svolgono attività diverse da quelle marginali sopra richiamate.
Per le organizzazioni di volontariato, quindi, l’elenco delle fonti di entrata contenuto nell’articolo 5 L. 266/1991 sarebbe tassativo: tra queste entrate figurano anche i rimborsi derivanti da convenzioni.
E, quindi, per tornare al contenuto della risposta all’interpello in commento, l’attività svolta rientra tra quelle di interesse generale dirette al perseguimento delle finalità tipiche delle organizzazioni di volontariato e, di conseguenza, l’associazione – che risulta regolarmente iscritta al Registro regionale – “non è tenuta ad aprire la partita Iva né ad emettere la fattura elettronica nei confronti dello stesso Ministero” che corrisponde il contributo.
La risposta all’interpello si preoccupa in più parti di ribadire che la disciplina contenuta nella L. 266/1991 resterà in vigore fino al periodo d’imposta successivo a quello di operatività del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (secondo quanto prevede l’articolo 104, ultimo comma, D.Lgs. 117/2017).
Non viene, però, approfondito cosa succederà una volta entrate in vigore le nuove disposizioni e una volta che la L. 266/1991 risulterà definitivamente abrogata.
L’unico riferimento contenuto nell’interpello è infatti all’articolo 33 D.Lgs. 117/2017 che, all’ultimo comma, ricorda che “per l’attività di interesse generale prestata le organizzazioni di volontariato possono ricevere soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, salvo che tale attività sia svolta quale attività secondaria e strumentale nei limiti di cui all’articolo 6” dello stesso D.Lgs. 117/2017.
In pratica, sembra dire l’Agenzia, ciò che puoi fare ora lo potrai fare anche in futuro.
Attenzione, però: se è lecito pensare che le nuove regole riguardino le imposte sui redditi, nessun riferimento, in alcuna delle disposizioni del D.Lgs. 117/2017 dedicate alle organizzazioni di volontariato, è posto per quanto riguarda l’imposta sul valore aggiunto.
Mentre, infatti, la normativa della L. 266/1991 escludeva espressamente dall’ambito Iva l’attività svolta dalle organizzazioni di volontariato, nessuna traccia di esclusione soggettiva è invece contenuta nel D.Lgs. 117/2017.
Risulta anzi abbastanza pacifico che l’attività di carattere corrispettivo svolta dalle odv, una volta entrata in vigore la nuova disciplina, sarà comunque soggetta a Iva.
Stiamo parlando, quindi, oltre che delle attività commerciali marginali anche delle raccolte di fondi svolte con carattere di abitualità o, come nel caso oggetto dell’intervento dell’Agenzia delle Entrate, dei corrispettivi da convenzione con enti pubblici.
Prova ne sia la circostanza che l’articolo 86 D.Lgs. 117/2017 individua un regime forfettario di determinazione delle imposte che esplica effetti anche ai fini dell’imposta sul valore aggiunto.
E, se è vero che grazie a questo particolare regime forfettario le odv non applicano l’Iva sulle proprie fatture, è però altrettanto vero che alla normativa è posto un limite di ricavi, pari a 130.000,00 euro (limite che, peraltro, risulta “scaduto” al 31 dicembre 2019).
Per chi dovesse avere entrate di natura commerciale per importi superiori, il regime forfettario non sarebbe applicabile e si dovrebbe passare ad un regime Iva ordinario.
Molte odv che superano il predetto limite con le proprie entrate caratteristiche – attualmente prive di imposizione Iva – dovrebbero quindi cominciare seriamente a preoccuparsi e ad attrezzarsi per gestire al meglio il cambiamento di regime.
25 Settembre 2020 a 12:51
Buongiorno Dottoressa Saccaro,
un dubbio, lei dice che le odv che fanno le attività produttive marginali e che superano i 130.000,00 euro dovrebbero applicare l’iva su queste attività.
Ma se ho un articolo 84 della riforma che sancisce chiaramente che queste attività, per le odv, sono non commerciali e un articolo 4 comma 4 del dpr 633/72 che recita che : ” per gli enti indicati al n. 2) del secondo comma, che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell’esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte nell’esercizio di attività commerciali o agricole”, perchè dovrei applicare l’iva visto che sono ritenute, secondo l’articolo 84, non commerciali?
Le sarei grato per una riposta vista la confusione che regna su tale tematica.
Grazie
25 Settembre 2020 a 17:04
Il punto è proprio la futura “convivenza” tra le disposizioni dettate ai fini delle imposte sui redditi e quelle IVA. Mentre nella L. n. 266/1991 c’è un espresso richiamo alla normativa IVA (che consente l’esclusione) così non è con le regole disposte dal D.Lgs. n. 117/2017. Per cui, allo stato, non si può affermare oggi con certezza che quello che non sarà soggetto ad IRES non sarà altrettanto da assoggettare ad IVA.
4 Maggio 2022 a 23:38
Quindi ad oggi una OdV neo costituita solo con codice fiscale che vuole solo ed esclusivamente fare volontariato con risorse prevalentemente autofinanziate dagli iscritti cosa deve fare? (Parlo di introiti quasi insignificanti 10/20 mila euro l’anno)
E’ costituita come associazione non riconosciuta, penso quasi che non converrebbe neanche iscriverla al RUNTS.
Non capisco poi un’altra cosa …l’obbligo dichiarativo (Mod Redditi ENC) quando scatta, solo per gli introiti commerciali “marginali” con p.iva per qualsiasi volume d’affari (tipo organizzazione di eventi con somministrazione con lo scopo di fare cassa per operare per intenderci …e in questo caso soggetto ad iva oppure no?) La normativa (per quello che ho letto) prevede che per le attività marginali fino a max 2 eventi l’anno e con introiti sotto i 50mila euro non sarebbero soggette a tassazione… sono in errore?
Dal mio punto di vista:
1) Se una associazione ha partita iva e obbligata al mod Redditi ENC a prescindere dagli introiti delle attività marginali;
2) Se ha solo il codice fiscale ed opera solo per attività istituzionali no.
3) Non è un obbligo l’iscrizione al RUNTS.
Ringrazio anticipatamente per un chiarimento
Franco Agnello
5 Maggio 2022 a 8:58
Dal 23 novembre scorso una organizzazione di volontariato per essere tale dovrà necessariamente essere iscritta al registro unico nazionale del terzo settore. Pertanto se l’associazione in esame non lo fosse non potrà dichiararsi organizzazione di volontariato ma sarà e potrà essere una semplice associazione costituita ai sensi di quanto previsto dall’art. 36 e seguenti del codice civile.
L’obbligo dichiarativo scatta in presenza di proventi derivanti da cessioni di beni o prestazioni di servizi nei confronti dei terzi svolte anche con modalità occasionali. La disciplina a cui Lei fa riferimento si applica solo per le associazioni sportive che hanno proventi commerciali, siano dotate di partita iva e abbiano optato per la legge n. 398/91.
circa i suoi tre punti conclusivi si condivide il loro contenuto con l’unico chiarimento, al punto 1 che per averci obbligo dichiarativo appare necessario comunque possedere un ricavo commerciale anche se marginale