Cambiate l’articolo 66 del Decreto Cura Italia!
di Fabio LanduzziIn piena emergenza sanitaria Covid-19 sono molte le manifestazioni di solidarietà che stanno provenendo anche dalle imprese attraverso donazioni in denaro ed in natura, queste ultime in modo particolare anche per la fornitura ad enti ospedalieri e attività nell’assistenza sanitaria di apparecchiature sofisticate per la cura delle persone.
Come noto, il D.L. 18/2020 (c.d. Decreto “Cura Italia”) al fine di incentivare queste forme di solidarietà da parte sia delle persone fisiche che dei titolari di reddito di impresa, all’articolo 66 ha previsto forme di “incentivi fiscali per erogazioni liberali in denaro e in natura a sostegno delle misure di contrasto dell’emergenza epidemiologica da Covid-19”.
Con riferimento ai titolari di reddito d’impresa, e guardando al caso delle donazioni in natura che, come detto, spesso si sostanziano in apparecchiature per l’assistenza medica ed ospedaliera, appare davvero paradossale la regolamentazione che deriva dalla applicazione del comma 2 dell’articolo 66. Infatti:
- la norma prevede la deducibilità di queste erogazioni liberali in natura effettuate nell’anno 2020 dai titolari di reddito d’impresa richiamando l’applicazione dell’articolo 27 L. 133/1999.
- l’articolo 27 L. 133/1999, intitolato “disposizioni in favore delle popolazioni colpite da calamità pubbliche” ribadisce la deducibilità delle erogazioni liberali in natura dal reddito d’impresa (comma 1), che tali beni erogati gratuitamente non si considerando destinati a finalità estranee dall’esercizio dell’impresa ai fini delle imposte sul reddito (comma 2), che dette erogazioni non sono soggette ad imposta sulle donazioni (comma 3), e che rientrano in tale regime premiale le donazioni rivolte a soggetti identificati nel D.P.C.M. 20.06.2000.
- il comma 3 dell’articolo 66 del Decreto Cura Italia specifica poi che, ai fini della valorizzazione delle erogazioni in natura, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 3 e 4 M. 28.11.2019. Ed è qui che si verifica il corto circuito, o se vogliamo il paradosso che merita un tempestivo intervento del Legislatore.
- L’articolo 3 D.M. 28.11.2019 (che tratta delle erogazioni liberali in natura a favore degli enti del Terzo settore e della loro valorizzazione), al comma 1, fissa il principio generale per cui l’erogazione in natura è determinata secondo il suo “valore normale” così come definito all’articolo 9 Tuir; il comma 2 specifica poi che se si tratta di un “bene strumentale” per l’impresa il valore si determina con riferimento al “residuo valore fiscale” del bene al momento della sua dazione; se invece si tratta di beni merce (comma 3) il valore si determina in base al minore fra il “valore normale” dello stesso e quello di cui all’articolo 92 Tuir (ossia, il suo costo che, di norma, sarà quindi inferiore al valore normale). Ma se, come può ricorrere molto di frequente in questa situazione emergenziale, l’impresa donante non utilizza le apparecchiature sanitarie né come beni strumentali per la propria attività e né sono beni di cui fa commercio, torna applicabile, ai fini della valorizzazione del bene donato, il comma 4 dell’articolo 3 D.M. 28.11.2019.
- Ai sensi del comma 4 citato, quindi, se il valore del bene donato è superiore a 30.000 euro, oppure nel caso in cui in ragione della natura del bene stesso non sia possibile documentarne il valore “sulla base di criteri oggettivi”, si prevede che il donante debba “acquisire una perizia giurata che attesti il valore dei beni donati, recante data non antecedente a 90 giorni il trasferimento del bene”.
- In ultimo, l’articolo 66, comma 3, del Decreto Cura Italia richiama anche l’applicazione del comma 4 D.M. 28.11.2019 il quale richiede che la donazione risulti da atto scritto contenente la dichiarazione del donatore recante la descrizione analitica dei beni, i relativi valori, la dichiarazione del donatario che contenga “l’impegno ad utilizzare direttamente i beni medesimi per lo svolgimento dell’attività statutaria, ai fini dell’esclusivo perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”. Inoltre, si richiede che il donante consegni al donatario copia della perizia giurata di stima.
Ora, crediamo sia evidente il corto circuito di una legislazione di rinvio del tutto inadeguata.
È davvero al di fuori della realtà pensare che perché possa fruire dell’incentivo a cui mira l’articolo 66 del Decreto Cura Italia, l’impresa che ha donato, o intende donare, una apparecchiatura sanitaria di valore superiore a 30.000 euro, che sarà stata appositamente acquistata da un fornitore specializzato, in una situazione emergenziale come quella attuale, debba necessitare di una perizia giurata avente data anteriore alla donazione stessa e attivare quella procedura formale che sarebbe prescritta in condizioni ordinarie(!!).
La norma, così scritta, è chiaramente inadeguata e va profondamente semplificata con efficacia anche per tutte le donazioni in natura sinora compiute dalle imprese.
16 Aprile 2020 a 9:20
Fortunatamente un buon ventilatore polmonare costa 10-15.000 euro (al netto di speculazioni contingenti)