I fattori negativi specifici incidono sul valore dell’avviamento
di Fabio LanduzziLa CTR Lombardia, nella sentenza n. 343 del 6 febbraio 2020, confermando il dispositivo della sentenza del giudice di prime cure e perciò l’annullamento di un avviso di rettifica e liquidazione di maggiore imposta di registro emesso dall’Amministrazione Finanziaria in relazione ad un contratto di cessione di ramo di azienda, ha affermato che, pur riconoscendo l’astratta validità del metodo (si trattava del “patrimoniale complesso”) applicato dal competente Ufficio delle Entrate per la determinazione del presunto maggior valore di avviamento del ramo ceduto, ne è emersa un’applicazione “priva di qualsivoglia riscontro concreto e di metodologia di controllo in relazione alla specificità della fattispecie” e mancante di una “adeguata valorizzazione delle caratteristiche proprie e della specificità” del ramo aziendale trasferito.
Il caso che forma oggetto del giudicato in commento, da quanto è possibile trarre dal testo della sentenza, riguarda il trasferimento di un ramo di azienda composto da 4 punti vendita della distribuzione alimentare.
L’Amministrazione Finanziaria ha contestato una rettifica del valore di avviamento associato al ramo aziendale trasferito, attraverso l’applicazione di un multiplo di mercato (il 20%) al dato del fatturato medio dei tre anni precedenti la cessione prodotto dai punti vendita inclusi nel ramo ceduto.
L’Ufficio avrebbe così assunto che tale metodo di valutazione consentirebbe, anche in presenza di imprese (rami di azienda) produttivi di perdite, come era il caso di specie, di valorizzare i presunti “intangibili generici (quali fiducia della clientela, buona collocazione logistica, rete di vendita, ecc.)”; inoltre, si legge che tale criterio, applicato come detto anche al caso di attività aziendali in perdita, consentirebbe ad avviso dell’Amministrazione di tenere conto nel calcolo anche della asserita “prospettiva aziendale”, ovvero quello che secondo questa visuale sarebbe il ruolo giocato dal potenziale soggetto acquirente (il c.d. “acquirente specifico”) che sarebbe in grado di incidere, attraverso le sue azioni future, sui profitti che potrebbero essere tratti mediante l’iniezione nel ramo acquisito di nuove risorse e nuove competenze.
La lettura della sentenza consente di cogliere due parti essenziali.
Nella prima parte, il Collegio giudicante fa il punto circa l’annosa questione della utilizzabilità del criterio di stima del valore di avviamento di cui all’abrogato articolo 2, comma 4, D.P.R. 460/1992; richiamando il filone giurisprudenziale (per tutte, Cassazione n. 2750/2019) che vede in questo metodo un criterio di riferimento tecnicamente utile, lo qualifica perciò non come una vera e propria metodologia di valutazione dell’avviamento dell’azienda, ma come un orientamento “valido sul piano indicativo” utile a fornire una sorta di “valore minimale di avviamento” avente forza indiziaria, ma superabile, sia dal contribuente che dall’Amministrazione fornendo, appunto, parametri specifici.
E proprio sui fattori specifici si sofferma con interesse la seconda parte della sentenza in commento, sottolineando come tali fattori siano stati del tutto disattesi dall’Amministrazione nel formulare il calcolo del presunto valore di avviamento.
Nel caso di specie, si trattava dei seguenti elementi che il contribuente aveva correttamente versato agli atti del procedimento:
- il ramo di azienda era composto da 4 punti vendita ubicati in zone commercialmente non favorevoli, con redditività inferiore alla media nazionale;
- la gestione dei punti di vendita era caratterizzata da costi fissi superiori alla media nazionale;
- la gestione aveva prodotto perdite sistematiche;
- dopo la cessione l’acquirente aveva proceduto al licenziamento di personale dipendente;
- la cessione, infine, avveniva nel contesto di una più ampia operazione di dismissione da parte del gruppo di appartenenza del cedente che coinvolgeva la cessione di ben 150 punti vendita in Italia, con una tutt’altro che agevole ricerca di acquirenti potenziali e l’intervento anche di un soggetto esterno interessato a massimizzare il prezzo di cessione.
Ebbene, i Giudici hanno constatato come l’asettica applicazione del multiplo del fatturato compiuta dall’Ufficio per la stima del valore di avviamento risultava del tutto distaccata dal caso concreto, e non in grado di recepire adeguatamente il concorso di sopra elencati fattori specifici, che erano stati dimostrati dalla società nel procedimento, e che rappresentano “elementi differenziali” dei punti vendita costituenti il ramo di azienda ceduto, sì da rendere priva di fondatezza la rettifica operata ai fini della determinazione del relativo valore di avviamento.