Il capitale sociale resiste solo alle perdite del 2020?
di Fabio LanduzziGiovanni ValcarenghiIl D.L. 23/2020 ha opportunamente varato due disposizioni a sostegno della “sopravvivenza” delle società; l’articolo 6, che sterilizza le norme che impongono la riduzione del capitale per perdite e l’articolo 7, sul tema della continuità aziendale.
I due interventi, a nostro giudizio, vanno letti congiuntamente, in quanto guidati da una medesima ratio, vale a dire la possibilità di proseguire l’attività in determinate circostanze (che normalmente sarebbero considerate patologiche) con una salvaguardia per la responsabilità dell’organo amministrativo.
Si è contribuito, negli ultimi giorni, a chiarire il tema dell’articolo 7, anche grazie all’emanazione di un pregevole documento della Fondazione Nazionale Commercialisti; molto meno esplorato, invece il contenuto dell’articolo 6, in merito al quale ci si è spesso limitati ad affermare che si tratti di norma applicabile solo alle perdite dell’esercizio 2020.
Certamente, il dettato normativo non è cristallino e pare portare in questa direzione anche la lettura della Relazione illustrativa e gli esempi che sovente si citano, ma ci sentiamo di proporre anche una lettura alternativa, che non riteniamo del tutto infondata soprattutto volendo salvaguardare il suddetto obiettivo della norma.
La questione ruota attorno a questa locuzione: “A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto [ndr: 9 aprile 2020] e fino alla data del 31 dicembre 2020 per le fattispecie verificatesi nel corso degli esercizi chiusi entro la predetta data non si applicano gli articoli ….”.
La finalità inequivoca della norma è quella di sterilizzare le disposizioni civilistiche che debbono essere applicate nel caso di perdite superiori al terzo del capitale sociale, anche quando il capitale scende al di sotto del minimo legale; ciò è tanto vero che viene sospesa anche la causa di scioglimento di cui all’articolo 2484 cod. civ..
La Relazione Illustrativa precisa che la norma mira ad evitare che la perdita del capitale, dovuta alla crisi COVID-19 e verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020, ponga gli amministratori di un numero elevatissimo di imprese nell’alternativa – palesemente abnorme – tra l’immediata messa in liquidazione, con perdita della prospettiva di continuità anche per imprese anche performanti, ed il rischio di esporsi a responsabilità per gestione non conservativa ai sensi dell’articolo 2486 del codice civile. La sospensione degli obblighi previsti dal Codice civile in termine di perdita del capitale sociale, per contro, tiene conto della necessità di fronteggiare le difficoltà dell’emergenza Covid-19 con una chiara rappresentazione della realtà, non deformata da una situazione contingente ed eccezionale.
Notiamo che, nella Relazione, si fornisce una rappresentazione non completamente aderente alla norma, almeno a quella pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale; nella Relazione ci si riferisce, infatti, alla perdita del capitale “verificatasi nel corso degli esercizi chiusi al 31 dicembre 2020” quando invece il testo della norma evoca quella degli esercizi “chiusi entro la predetta data [ndr: 31-12-2020]”. Circostanza non di poco conto, visto che potrebbe rendere applicabile la disposizione (come appare certamente più logico ritenere) anche agli esercizi non coincidenti con l’anno solare (interessati dalla crisi) e, più in generale, agli esercizi chiusi prima del 31 dicembre 2020.
Proprio su tale ultimo aspetto (in definitiva, pensando al 2019) proponiamo le seguenti riflessioni che – a nostro sommesso giudizio – meriterebbero un approfondimento di meditazione:
- partiamo con una certezza: la norma sicuramente non nasce per sterilizzare le perdite “di gestione” generatesi nel corso del 2019, visto che in tale esercizio non vi era alcuna traccia dell’influenza del fenomeno Covid-19;
- ciò non significa, però, che nel bilancio 2019 non vi possano essere delle influenze che derivino – in via immediata e diretta – dalla pandemia. Almeno due casi ci sono venuti alla mente:
- svalutazione del magazzino a seguito di vendite a prezzo ridotto dei primi mesi del 2020 post disposizioni emergenziali. Si pensi al caso di un’azienda (ad esempio, un concessionario d’auto) che possieda un rilevante stock di magazzino al 31 dicembre 2019; alla riapertura dell’attività al prossimo mese di maggio propone importanti scontistiche per recuperare immediata liquidità e coprire il fabbisogno finanziario. In sede di redazione del bilancio 2019, nel valutare le giacenze, la società deve tenere conto del minore prezzo di vendita dei beni ove questo fosse inferiore al costo (v. “Fatti di rilievo dei primi mesi successivi alla chiusura dell’esercizio che si riflettono sulle stime del bilancio”, Oic 29, par. 59, lett. a), ben sapendo che tale ribasso è una diretta conseguenza dell’emergenza Covid-19;
- svalutazione dei crediti a seguito di accadimenti verificatisi sempre nei primi mesi del 2020 e post emergenza sanitaria. Si pensi al caso di un’azienda con un cliente che, non appena intravisto l’avvio della fase di lockdown, abbia presentato domanda di concordato in bianco, confidando nell’interruzione del lavoro dei Tribunali, ovvero, ad un cliente che risultava in equilibrio finanziario nel 2019 e, in maniera repentina, abbia imboccato un tunnel di crisi a seguito della pandemia. Il credito dovrebbe essere svalutato nel bilancio del 2019 (di nuovo, si tratta di una revisione delle stime ex 59, lett. a, dell’Oic 29), anche se la motivazione principale di tale (s)valutazione può essere ascritta all’emergenza Covid;
- se la norma intende evitare l’alternativa palesemente abnorme (cit. Relazione Illustrativa) tra l’immediata messa in liquidazione ed il rischio di esporsi ad una gestione non conservativa, ci pare che quantomeno le casistiche sopra evidenziate siano parimenti meritevoli rispetto alle perdite insorte e manifestatesi nel corso dell’esercizio 2020.
Ove si condividano le precedenti riflessioni, non resterebbero che due soluzioni praticabili, per cogliere quello che è l’obiettivo (dichiarato) della norma:
- una “forzatura” delle regole di redazione del bilancio (ad esempio, una maggiore “prudenza” nella svalutazione dei crediti), in verità non palesata in alcuna disposizione normativa (se non in merito alla continuità aziendale dell’articolo 7), quindi altamente rischiosa;
- una “lettura estensiva” della norma sulla sterilizzazione delle perdite, al fine di ricomprendervi ogni evento che abbia trovato la propria origine nel fenomeno Covid-19.
L’argomento è tanto delicato (per la responsabilità che ne deriverebbe in capo agli amministratori) che non ci sentiamo assolutamente di qualificare come certezza quanto sopra riportato; tuttavia, ci pare anche doveroso lanciare il classico “sasso nello stagno” al fine di evitare che una lettura miope di disposizioni già confuse di proprio, porti a ridurre gli effetti benefici che, probabilmente, il Legislatore intende concedere in un delicato periodo come quello che stiamo vivendo.
Solo così si potrà evitare la chiusura di imprese ancora performanti, proprio come richiede la Relazione Illustrativa.