Stabile organizzazione occulta e Iva
di Roberto CurcuIeri, 7 maggio 2020, è stata pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia Europea nel caso C-547/18, che vedeva coinvolto un fornitore del noto produttore di elettronica LG, al quale il fisco polacco faceva una contestazione a dir poco vessatoria. Oggetto del contendere è la possibilità che una società controllata possa contemporaneamente essere la stabile organizzazione della propria controllante, e se i fornitori di questa “stabile organizzazione occulta” abbiano degli obblighi di scoprire tale situazione e regolarsi di conseguenza nella fatturazione.
Il concetto di “stabile organizzazione occulta” è stato spesso utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per contestare ad una società italiana, controllata da una società estera, che all’interno della prima vi è una stabile organizzazione occulta della seconda; il fondamento di tali rilievi parte dal presupposto che alcune funzioni svolte dai manager della prima sono funzionali al business della controllante estera e che quindi quest’ultima in Italia ha una stabile organizzazione foriera di produrre reddito tassabile nel Belpaese. Esempio perfetto di questo rilievo è il caso della tedesca Bosch AG, con (secondo l’Agenzia delle Entrate) stabile organizzazione occulta presso la sua controllata italiana.
Ciò premesso, il concetto di stabile organizzazione non è esclusivo delle imposte dirette, ma esiste anche ai fini Iva.
La Corte di Giustizia ha nel tempo formulato dei parametri per individuarla, in quanto non sono i criteri Ocse, applicabili ai fini delle imposte dirette, a definire tale concetto ai fini Iva.
Il concetto di stabile organizzazione, ai fini Iva, ha una rilevanza sostanziale per quanto riguarda l’individuazione della territorialità delle prestazioni di servizi; per quanto riguarda le cessioni di beni, infatti, la territorialità delle operazioni viene di norma determinata dalla localizzazione dei beni, e la presenza o meno di stabili organizzazioni può solo, al limite, cambiare il soggetto tenuto al pagamento dell’imposta.
Nelle prestazioni di servizi generiche, individuate dal nostro articolo 7-ter, il prestatore ha la necessità di capire chi sia il committente, in quanto la normativa, comunitaria e domestica, stabilisce che deve considerarsi soggetto passivo stabilito nello Stato la stabile organizzazione in Italia di soggetto estero, limitatamente alle prestazioni da essa ricevute. Ad esempio, se il committente delle stesse è una società estera si applica l’articolo 7-ter, mentre se è la sua stabile organizzazione italiana si deve applicare l’Iva.
Posto che non è per nulla chiaro come fa un prestatore a capire se sta operando a favore di un soggetto estero o della sua stabile organizzazione, il legislatore comunitario ha ritenuto opportuno dare delle indicazioni precise e lo ha fatto con l’articolo 11 del Regolamento 282/2011, il quale stabilisce che il prestatore deve innanzitutto guardare la natura e l’utilizzazione del servizio fornito; qualora tale test non dia un risultato accettabile, è necessario esaminare il contratto, l’ordinativo, il numero di partita Iva comunicato dal destinatario e la provenienza del pagamento e, se ancora non si arriva ad una soluzione chiara, o se i servizi sono utilizzati ai fini promiscui, il prestatore deve considerare che il committente è la “sede”.
Per fare un esempio, se ad un fiscalista viene chiesta, da una società estera con stabile organizzazione in Italia, una consulenza sulle imposte immobiliari dovute in Italia dalla Stabile organizzazione, l’operazione va fatturata con Iva, in quanto il committente risulta essere la stabile organizzazione, mentre se si dovesse dare una consulenza alla società estera su operazioni di business che non hanno a che fare con quelli svolti dalla stabile organizzazione in Italia, la fattura andrebbe fatta con l’articolo 7-ter.
La contestazione mossa dall’autorità fiscale, che ha portato al giudizio della Corte di Giustizia Europea, è se il prestatore deve sapere se il proprio committente estero ha una stabile organizzazione occulta presso una società controllata nazionale.
Il caso è successo in Polonia, dove una società effettuava delle lavorazioni commissionate dalla LG Corea e, al termine della lavorazione, consegnava tali beni alla LG Polonia (società controllata da LG Corea). Giustamente, il lavorante, avendo instaurato il rapporto con un soggetto stabilito all’estero, fatturava senza Iva (con il nostro 7-ter), ma il Fisco polacco, sulla base del fatto che, a suo giudizio, all’interno di LG Polonia vi era una stabile organizzazione occulta di LG Corea, e quest’ultima era il vero committente, contestava al lavorante polacco il mancato assoggettamento ad Iva della prestazione di servizi.
La Corte di Giustizia, statuisce che “non si possono accollare al prestatore di servizi obblighi incombenti alle autorità tributarie, pretendendo che esso indaghi sui rapporti contrattuali tra una controllante e la sua controllata”.
Pur se il caso trattato è molto specifico, mi piace evidenziare che il principio generale che ne emerge (primo periodo della frase), era già stato coniato dalla Corte di Giustizia, in quanto derivante dai principi di funzionamento dell’Unione Europea, ma è spesso disatteso da legislatore ed amministrazione finanziaria domestici.