10 Giugno 2020

Conversione in legge del Decreto Liquidità e crisi d’impresa

di Francesca Dal Porto
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La scheda di FISCOPRATICO

Sulla Gazzetta ufficiale n. 143 del 6 giugno 2020 è stata pubblicata la L. 40/2020Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 aprile 2020, n. 23, recante misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”.

Sulla stessa Gazzetta ufficiale è stato pubblicato il testo del D.L. 23/2020 (c.d. “Decreto Liquidità”) coordinato con la legge di conversione.

A norma dell’articolo 15, comma 5, L. 400/1988 (Disciplina dell’attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri), le modifiche apportate dalla legge di conversione hanno efficacia dal giorno successivo a quello della sua pubblicazione.

Tra le modifiche di maggior interesse, con il presente contributo se ne vogliono segnalare, in particolare, due, contenute nel capo II recante “Misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza Covid-19”.L’articolo 9 contiene disposizioni in materia di concordato preventivo ed accordi di ristrutturazione: rispetto alla vecchia formulazione, con la quale era stato previsto che i termini di adempimento, aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021, fossero prorogati di sei mesi, la legge di conversione amplia la fattispecie.In primo luogo, è esteso il periodo temporale di riferimento: nella legge di conversione non si parla più di un arco temporale compreso tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 ma di termini di adempimento aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020.In secondo luogo, le fattispecie cui la moratoria risulta applicabile sono più ampie.

L’originario articolo 9 D.L. 23/2020 faceva riferimento ai concordati preventivi e agli accordi di ristrutturazione ex articolo 182 bis L.F.. Con la legge di conversione, di fatto, trova regolamentazione un’interpretazione estensiva dell’articolo 9, che, fin da subito, era stata proposta (si veda il contributo della scrivente “Accordi e piani del consumatore: moratoria dei termini”, in linea con alcune pronunce giurisprudenziali): la moratoria dei termini di adempimento coinvolge non solo quelli dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione ex articolo 182 bis L.F. ma anche quelli degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati, prorogandoli di sei mesi.

La legge di conversione interviene correggendo una distorsione, frutto probabilmente di una dimenticanza: la moratoria deve poter essere utilizzabile anche nell’ambito degli strumenti propri del sovraindebitamento, ossia:

La ratio della norma è evidente: si vuole evitare che, a causa della emergenza sanitaria da Covid-19, piani del consumatore e accordi di composizione omologati e sempre onorati nelle scadenze previste (si pensi al classico caso del piano di pagamento rateale), rischino di saltare a cause delle contingenti difficoltà che il soggetto sovraindebitato si trovi ad attraversare.

Ad esempio, l’avvio della cassa integrazione per il sovraidebitato o la necessità di ricorrere ai congedi parentali, con l’ovvio risultato di avere un abbattimento significativo delle entrate finanziarie mensili, potrebbero compromettere inevitabilmente la capacità di rispettare il piano di pagamento omologato.

La possibilità di ottenere una moratoria di sei mesi, nel senso di un vero e proprio allungamento del piano di pagamento rateale originario, senza modificare il numero delle rate, ha l’obiettivo di non disperdere i sacrifici e i risultati ottenuti fino ad oggi.

Il comma 5 bis dell’articolo 9 della legge di conversione prevede, inoltre, un’altra importante modifica: il debitore che, entro il 31 dicembre 2021, in un procedimento per concordato preventivo “con riserva” ex articolo 161, comma 6, L. F. o di proposta di accordo di ristrutturazione ex articolo 182-bis, commi 6 e 7, L.F., abbia ottenuto la concessione del termine per presentare la proposta e il piano o l’accordo di ristrutturazione, può, entro tale termine, depositare rinuncia alla procedura dichiarando di aver predisposto un piano di risanamento ex articolo 67, comma 3, lettera d), L.F., pubblicato nel registro delle imprese, producendo la documentazione relativa alla pubblicazione.

In questo caso, il Tribunale, verificata la completezza e la regolarità della documentazione, dichiara l’improcedibilità del ricorso per concordato preventivo in bianco o di proposta di accordo di ristrutturazione.

La ratio della norma è, con tutta probabilità, quella di agevolare, con il più ampio ventaglio di possibilità, le imprese in crisi (di cui si attende un incremento esponenziale) nella scelta dello strumento più idoneo da utilizzare: dando loro la possibilità di cambiare percorso una volta intrapresa una certa strada.

La Legge fallimentare, all’articolo 161, comma 6, ammette già la possibilità per il debitore che abbia fatto accesso al concordato “con riserva” di depositare un accordo di ristrutturazione dei debiti ex articolo 182 bis L.F. (anziché una domanda di concordato preventivo).

La legge di conversione del Decreto Liquidità aggiunge la possibilità, per il soggetto che abbia presentato domanda di concordato “con riserva” o di accordo di ristrutturazione del debiti ex articolo 182 bis L.F., di cambiare strada e di perseguire quella dei piani attestati di risanamento ex articolo 67, comma 3, lett. d), L.F..

Quale sia l’effettiva portata della norma è oggi difficile immaginare, anche perché il piano attestato di risanamento è uno strumento molto diverso dagli altri due: la possibilità concessa, quindi, forse potrebbe essere di vero ausilio per quei soggetti che, nel momento di deposito della domanda di concordato “con riserva” o di pre accordo di ristrutturazione, debbano ancora davvero valutare termini e contenuti di una proposta ai creditori.

Altra novità della legge di conversione degna di rilievo è quella prevista dall’articolo 10 in materia di “Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza”.

Con la legge di conversione, di fatto, è attuata una stretta sulla misura prevista col Decreto Liquidità di improcedibilità delle istanze di fallimento.

È precisato che l’improcedibilità per le istanze di fallimento depositate nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020, non si applica:

  • al ricorso presentato dall’imprenditore in proprio, quando l’insolvenza non è conseguenza dell’epidemia di Covid-19;
  • all’istanza di fallimento da chiunque formulata derivante dagli articoli 162, comma 2 (inammissibilità del concordato preventivo), 173, comma 2 e 3 (revoca dell’ammissione al concordato preventivo), e 180, comma 7 (mancata omologazione del concordato preventivo) L.F.;
  • alla richiesta presentata dal pubblico ministero quando nella medesima è fatta domanda di emissione dei provvedimenti di cui all’articolo 15, comma 8, L.F. o quando la richiesta è presentata ai sensi dell’articolo 7, numero 1), L.F..

Anche il comma 3 dell’articolo 10 è stato modificato, prevedendo che, quando, dopo la dichiarazione di improcedibilità di cui al comma 1, faccia seguito, entro il 30 settembre 2020, la dichiarazione di fallimento, il periodo tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 non viene computato nei termini di cui agli articoli 10, 64 (inefficacia degli atti a titolo gratuito), 65 (inefficacia dei pagamenti di crediti che scadono il giorno della dichiarazione di fallimento o successivamente), 67, comma 1 e 2 (revocatoria degli atti a titolo oneroso, pagamenti e garanzie), 69-bis e 147 (fallimento dei soci di una s.r.l.) L.F..

La ratio di tale norma è quella di evitare che il blocco delle istanze produca conseguenze irreversibili; essa dispone che il periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 non venga computato nei termini di cui agli articoli citati: quando il termine cade durante o dopo il periodo di sospensione sarà prorogato per un periodo corrispondente, evitando che il curatore, il creditore o il pubblico ministero decadano definitivamente dalle possibilità concesse dagli articoli oggetto della disposizione.