Sulla dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti
di Marco BargagliCome noto, con riferimento al fenomeno della frode fiscale, il legislatore ha introdotto due precise fattispecie sanzionatorie contemplate dagli articoli 2 e 3 D.Lgs. 74/2000.
Sul punto, in seguito alle modifiche intervenute ad opera del D.L. 124/2019, l’ordinamento penale-tributario prevede:
- la reclusione da quattro a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti indica, in una delle dichiarazioni relative a dette imposte, elementi passivi fittizi (articolo 2 D.Lgs. 74/2000).
Il fatto si considera commesso avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti quando tali fatture o documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono comunque detenuti a fine di prova nei confronti dell’Amministrazione finanziaria.
Infine, qualora l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni,
- la reclusione da tre a otto anni nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l’accertamento e ad indurre in errore l’Amministrazione finanziaria, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ovvero elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizi, quando, congiuntamente:
- l’imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a euro trentamila;
- l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al cinque per cento dell’ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o comunque, è superiore a euro un milione cinquecentomila, ovvero qualora l’ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell’imposta, è superiore al cinque per cento dell’ammontare dell’imposta medesima o comunque a euro trentamila.
Il fatto delittuoso si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria (articolo 3 D.Lgs. 74/2000).
Il legislatore ha altresì previsto che, per integrare tale seconda fattispecie di reato, non costituiscono mezzi fraudolenti la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili o la sola indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali.
Delineato l’assetto normativo di riferimento, molto spesso gli addetti ai lavori si chiedono quale siano le peculiari caratteristiche che contraddistinguono le due diverse ipotesi delittuose e in quale rapporto vada valutata concretamente la condotta del soggetto attivo del reato.
Sullo specifico punto la Corte di cassazione, sezione 3^ penale, con la sentenza n. 10916/2020 del 12.11.2019, ha tracciato importanti principi di diritto delineando compiutamente le singole ipotesi.
Gli Ermellini hanno precisato che tra le due fattispecie di reato sopra indicate (ossia la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici), sussiste un “rapporto di specialità reciproca”.
Infatti, “accanto ad un nucleo comune costituito dalla presentazione di una dichiarazione infedele, il primo presuppone l’utilizzazione di fatture o documenti analoghi relativi ad operazioni inesistenti, mentre il secondo, una falsa rappresentazione delle scritture contabili obbligatorie nonché l’impiego di altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l’accertamento e il raggiungimento della soglia di punibilità”.
Di conseguenza la suprema Corte chiarisce che il discrimine tra i due reati non è dato dalla natura dell’operazione, ma dal modo in cui essa è documentata, poiché alla particolare idoneità probatoria delle fatture corrisponde una maggiore capacità decettiva delle falsità commesse utilizzando proprio tali documenti.
Proprio la giurisprudenza di legittimità ha confermato la definizione di “operazione soggettivamente inesistente”, ossia quella non realmente intercorsa tra i soggetti che figurano quale emittente e percettore della fattura.
La diversità può riguardare chi abbia emesso il documento (ma non abbia in realtà effettuato alcuna prestazione), ovvero il caso in cui essa sia stata effettuata non in favore di colui che risulta destinatario del documento fiscale.
In tale circostanza la diversità riguarda il destinatario della fattura, che quindi la utilizza pur non essendo committente né il beneficiario di alcuna prestazione, annotando nella contabilità i costi sostenuti ed i crediti ai fini Iva senza che ciò corrisponda ad una operazione realmente intercorsa tra le parti; in buona sostanza il beneficiario reale della prestazione è un altro, mentre nel documento è indicato un soggetto che non ha preso parte all’operazione economica.
In definitiva, quando la falsità ha ad oggetto l’indicazione dei soggetti tra i quali è intercorsa l’operazione (i.e. “soggetti diversi da quelli effettivi”), viene integrato il reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.