No al ne bis in idem tra sanzioni tributarie e penali
di Angelo GinexCome noto, l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali sancisce il diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato, prevedendo espressamente che «nessuno può essere perseguito o condannato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato nell’Unione a seguito di una sentenza penale definitiva conformemente alla legge».
Sul punto, occorre altresì richiamare l’articolo 4 del Protocollo n. 7 CEDU, a mente del quale «nessuno potrà essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un’infrazione per cui è già stato scagionato o condannato a seguito di una sentenza definitiva conforme alla legge ed alla procedura penale di tale Stato».
Tuttavia, è stato rilevato che, dall’articolo 4 in esame, non è possibile dedurre un divieto assoluto per gli Stati di imporre una sanzione amministrativa, anche se qualificabile come sostanzialmente penale, per quei fatti di evasione fiscale in cui è possibile perseguire e condannare penalmente il soggetto, in relazione ad un elemento ulteriore rispetto al mancato pagamento del tributo, come una condotta fraudolenta, alla quale non potrebbe dare risposta sanzionatoria adeguata la mera procedura amministrativa.
Ed invero, non si esclude lo svolgimento parallelo di due procedimenti, purché essi appaiano connessi dal punto di vista sostanziale e cronologico in maniera sufficientemente stretta e purché esistano meccanismi in grado di assicurare risposte sanzionatorie nel loro complesso proporzionate e, comunque, prevedibili.
La Corte di Giustizia UE ha infatti affermato che l’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che contempli la possibilità di avviare un procedimento penale per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto a carico di una persona a cui sia già stata inflitta, per i medesimi fatti, una sanzione amministrativa definitiva di natura penale, purché siffatta normativa:
- sia volta ad un obiettivo di interesse generale tale da giustificare un simile cumulo di procedimenti e di sanzioni, vale a dire la lotta ai reati in materia di imposta sul valore aggiunto;
- contenga norme che garantiscano una coordinazione che limiti a quanto strettamente necessario l’onere supplementare che risulta, per gli interessati, da un cumulo di procedimenti;
- preveda norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte sia limitata a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato di cui si tratti (Corte di Giustizia UE, 20 marzo 2018, 524/15).
Inoltre, è stato chiarito che spetta al giudice nazionale accertare e valutare, tenuto conto del complesso delle circostanze del procedimento principale, un eventuale cumulo dei procedimenti e delle relative sanzioni, a condizione che non si incorra in un trattamento sanzionatorio eccessivo rispetto alla gravità del reato commesso.
Così delineati i principali orientamenti vigenti in materia, si rileva che la Suprema Corte con sentenza n. 33050 del 16.12.2019 ha inteso dare continuità all’indirizzo giurisprudenziale secondo cui in tema di sanzioni tributarie, qualora «gli elementi fattuali evidenzino una stretta connessione, sul piano sostanziale oltre che cronologico, tra l’accertamento in sede tributaria ed il procedimento penale, l’irrogazione di sanzioni tributarie e penali non comporta la violazione del ne bis in idem quando alla sanzione amministrativa debba riconoscersi natura sostanzialmente penale» (Cfr., Cass. n. 7131/2019).
Quanto innanzi può tuttavia avvenire – proseguono i giudici – a condizione che siano garantiti:
- il rispetto del principio di proporzionalità delle pene sancito dall’articolo 49, 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, secondo cui le sanzioni complessivamente inflitte devono corrispondere alla gravità del reato commesso;
- la prevedibilità di tale doppia risposta sanzionatoria in forza di regole normative chiare e precise;
- il coordinamento tra i procedimenti sanzionatori, in modo che l’onere, per il soggetto interessato da tale cumulo, sia limitato allo stretto necessario.
Venendo al caso di specie, rilevato che i fatti addotti sono in stretta connessione sia sul piano sostanziale sia su quello cronologico, i giudici di vertice hanno ritenuto che non è riscontrabile alcuna violazione del principio del ne bis in idem, anche in considerazione del fatto che «sul piano penale il fatto contestato e sottoposto al relativo giudizio ha una sua autonomia a prescindere dalle conseguenze di natura tributaria».
In conclusione, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso proposto dai contribuenti, condannandoli altresì al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.