Note di variazione e dichiarazione Iva di competenza: inversione di rotta dell’Agenzia
di Roberto CurcuGiovedì 16 aprile l’Agenzia delle Entrate pubblicò una interessante risposta ad un interpello, commentata con una nostra news del 17 aprile, che dirimeva un dubbio che ancora esisteva riguardo alle modalità di recupero dell’IVA fatturata e non incassata, con l’emissione di una nota di variazione ai sensi dell’articolo 26 Decreto Iva.
In tale risposta l’Agenzia individuò il momento iniziale a partire dal quale è possibile emettere la nota di variazione, il momento finale, e la dichiarazione Iva in cui inserire la variazione.
Ieri, 24 giugno, con la risposta ad interpello 192, l’Agenzia delle Entrate ha mostrato un inatteso cambiamento di rotta rispetto a quanto precedentemente sostenuto.
Il problema delle note di variazione in diminuzione, infatti, sembra essere triplice.
In primo luogo è necessario individuare il giorno a partire dal quale è possibile emetterle: questo coincide, per la maggior parte dei casi di interesse, con quello in cui è constatata l’infruttuosità di una procedura di recupero coattivo o con il termine di una procedura concorsuale.
Già con circolare 77/2000 fu chiarito che nei casi di fallimento è necessario attendere la scadenza del termine per le osservazioni al piano di riparto oppure, ove non vi sia stato, alla scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento stesso (articoli 110 e 119 L.F.).
Nel caso trattato dalla risposta ad interpello 192, viene precisato che, nel caso in cui un piano di riparto sia stato variato nel corso della procedura fallimentare, il termine iniziale per emettere la nota di variazione è quello della definitività dell’ultimo piano di riparto.
Il secondo problema riguarda il termine massimo entro cui emettere la nota di variazione.
Con una interpretazione letterale della norma, ma illogica guardando la sostanza dell’operazione e la normativa comunitaria (vedi news di ieri), per l’Agenzia delle Entrate il soggetto che emette una nota di variazione, anziché stornare l’Iva a suo tempo versata, porta in detrazione l’imposta indicata nella nota di credito.
Posto che la detrazione va operata nella dichiarazione Iva dell’anno in cui è sorto il diritto, l’Agenzia delle Entrate ha sempre sostenuto che la nota di variazione deve essere emessa entro il termine di scadenza della dichiarazione Iva dell’anno in cui è sorto il diritto.
Fino a questo punto, non ci sono grossi dubbi, e l’Agenzia delle Entrate ha confermato che, per le variazioni il cui diritto è nato nel 2019, il termine massimo di emissione è quello del 30 giugno 2020, “beneficiando” anche tale termine della proroga da Covid.
Ultimo problema, non di secondaria importanza, è capire in che dichiarazione Iva inserire una nota di variazione emessa nel 2020, a fronte di un diritto ad emetterla nato nel 2019, ad esempio per la chiusura in tale anno di una procedura fallimentare.
Se accettassimo il ragionamento dell’Agenzia delle Entrate, che l’Iva indicata in una nota di variazione va portata in detrazione, e considerato che la detrazione va operata nella dichiarazione Iva dell’anno in cui è sorto il diritto, si arriverebbe alla conclusione che le note di variazione “a cavallo” devono essere indicate nella dichiarazione Iva 2020; ciò sarebbe speculare alla detrazione di fatture ricevute nel 2019 (anno in cui nasce il diritto alla detrazione) e registrate nel 2020, che devono essere indicate nella dichiarazione Iva 2020.
Queste conclusioni erano state sostenute nella risposta ad interpello 107 del 16 aprile, con la quale, in un caso in cui il diritto ad emettere la nota di variazione era nato nel 2019, l’Agenzia precisava che “la detrazione dell’imposta è consentita entro il termine di presentazione della dichiarazione IVA relativa all’anno 2019” e che, tale esercizio del diritto è consentito “a condizione che la nota di variazione in diminuzione sia emessa al massimo entro il termine ultimo di presentazione della dichiarazione Iva 2020, ora prorogato dal 30 aprile al 30 giugno 2020”. Sul punto, l’Agenzia precisava addirittura che il contribuente avrebbe dovuto rettificare la dichiarazione Iva 2020 eventualmente già presentata.
Ora, con la risposta ad interpello 192, l’Agenzia cambia idea. Per un diritto ad emettere la nota di variazione nato nel 2019 (definitività dei piani di riparto o di chiusura di fallimenti), e note di credito emesse nel 2020, la dichiarazione Iva di competenza è Iva 2021, cioè quella relativa all’anno in cui è stata emessa la nota e non a quello in cui è nato il diritto.
Mai come in questi casi è d’ordine ricordare cosa dice lo Statuto del contribuente: “Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima”; e la giurisprudenza della Corte di Giustizia ritiene che nemmeno l’imposta possa essere chiesta.