La crisi da Covid-19 impatta anche sui prezzi di trasferimento
di Fabio LanduzziLa dirompenza degli effetti causati dall’emergenza sanitaria da Covid-19 sull’intero sistema economico finanziario globale, ed in modo particolare i riflessi recessivi gravi e repentini che si stanno osservando in questa fase, hanno inevitabili conseguenze anche sulla applicazione, in concreto, delle transfer pricing policies adottate per la regolamentazione ai fini fiscali delle transazioni fra imprese associate residenti in differenti Stati.
Infatti, di norma, queste politiche sui prezzi di trasferimento e le modalità con cui i criteri selezionali per testare la rispondenza delle transazioni osservate al principio di libera concorrenza sono definite e costruite in un contesto generale stabile; siamo invece ora dinanzi ad un evento esterno alle imprese, del tutto imprevedibile, al di fuori delle leve di controllo delle imprese e verificatosi in modo repentino e con effetti recessivi significativi.
La domanda di fondo allora è: come tenere conto di questi effetti, che indubitabilmente influenzeranno in negativo le grandezze economico finanziarie di tante imprese (produttive, distributive ei di servizi), e quindi anche di quelle che appartengono a gruppi internazionali, assicurando comunque in queste circostanze che i prezzi di trasferimento applicati nelle transazioni infragruppo siano comunque determinati, anche in questo contesto di crisi, in condizioni di libera concorrenza?
Partiamo allora dal dover constatare che una risposta univoca e tecnicamente definita, al momento, non esiste; da più parti è infatti stato sollecitato un intervento dell’Ocse, in quanto standard setter internazionale in tema di prezzi di trasferimento, nella cui agenda la questione è senza dubbio presente – come emerge dal Tax Talk del 4 maggio 2020 – ed è perciò auspicabile che venga pubblicato un aggiornamento o un addendum alle Linee Guida Ocse in materia di prezzi di trasferimento specificamente dedicato a trattare questo tanto complesso quanto rilevante tema. Dobbiamo però anche rilevare che, ragionevolmente, i tempi non saranno brevi per la pubblicazione di queste importanti note tecniche.
Nel frattempo, alcuni spunti utili che già la dottrina ha iniziato ad evidenziare, in parte mutuando le considerazioni che vennero sviluppate al tempo della precedente crisi globale del 2008, sono in estrema sintesi i seguenti:
- identificare ed isolare gli effetti straordinari negativi: ne sono un esempio immediato le perdite sofferte dalle imprese nel periodo del lockdown e della sospensione forzata delle attività, come pure le spese straordinarie sostenute per affrontare la crisi sanitaria e la ripresa delle attività;
- non limitarsi alla sola fase del lockdown, ma osservare il manifestarsi della crisi anche nel periodo seguente, ad esempio comparando i risultati di frazioni dell’anno inciso dalla crisi, pur con tutte le difficoltà del caso, rispetto a quelli degli anni precedenti;
- tenere traccia degli interventi di rinegoziazione di contratti anche con parti terze, come pure del comportamento dei concorrenti, per documentare come le scelte, talvolta di sopravvivenza o comunque di conservazione del rapporto di lungo periodo con il cliente/ fornitore, possano avere determinato nell’immediato un sacrificio in termini di profittabilità;
- mappare quindi le modifiche intervenute nelle “circostanze economiche” (che, ricordiamo, sono uno dei fattori di comparabilità nel contesto di quella analisi di comparabilità che è il cuore dell’analisi sui prezzi di trasferimento) in cui le transazioni infragruppo sono compiute;
- mappare e tracciare, come anzidetto, le modifiche delle strategie perseguite, anche di lungo periodo ed anche a detrimento della profittabilità immediata, strategie che, lo ricordiamo, sono un altro dei fattori di comparabilità che in condizioni ordinarie viene forse spesso trascurato, ma che in questa evenienza può assurgere un ruolo assai rilevante.
Il tutto, poi, dovrà riflettersi in concreto sulla impostazione e sulla esecuzione della analisi di comparabilità, tema sul quale in astratto possono proporsi soluzioni diverse, ma nessuna delle quali davvero del tutto convincente.
Fra le altre:
- si può pensare ad una totale revisione della benchmark analysis, che tenga conto dei dati dei comparabili del periodo impattato dalla crisi (il che, però, sconta un inevitabile ritardo di almeno un anno per la disponibilità dei dati nei data base);
- oppure, alla conservazione della benchmark analysis disponibile, ma “aggiustata” nei risultati per tenere conto dell’impatto negativo specifico sull’impresa della crisi da Covid-19: un’idea senza dubbio valida che sconta un maggior grado di soggettività e difficoltà tecniche nell’isolare gli effetti economici della crisi. L’aggiustamento potrebbe allora essere fatto assumendo i macrodati di settore, per dar loro una maggiore oggettività, ma anche in questo caso permane il problema di come declinarli, ad esempio, su medio piccole dimensioni, e comunque tale opzione non è praticabile in tante circostanze in cui non vi sono analisi riferiti a specifici business;
- la soluzione di lavorare sul “range” dell’analisi di comparabilità non sembra invece sufficiente, perché anche il livello più basso del range dell’intervallo dei valori rifletterebbe comunque valori pre-crisi del tutto lontani dalla realtà economica.
Infine, un problema comune: qualunque analisi di comparabilità che impieghi data base per la ricerca di un benchmark esterno perde necessariamente traccia delle imprese che cessano nel periodo perché colpite in modo irreversibile dalla crisi, e quindi comunque non riesce a cogliere appieno la gravità della crisi.
Per tutte queste ragioni, è altamente auspicato un intervento dell’Ocse che guidi le imprese nell’adozione di tecniche adeguate, sì da evitare di incorrere in rischi addirittura di successivi rilievi fiscali proprio relativi ad un periodo così gravemente colpito da una crisi eccezionale.