Omessa Iva di gruppo: punibile l’amministratore della controllante
di Alessandro CarlesimoIn una recente pronuncia, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare la fattispecie penale omissiva regolata all’articolo 10-ter D.Lgs.74/2000. Tale norma espone il contribuente a responsabilità penale se, congiuntamente, si verificano le seguenti condizioni:
- omesso versamento dell’Iva risultante dalla dichiarazione annuale superiore a euro 250.000;
- protrarsi del ritardo oltre il termine previsto per il pagamento dell’acconto dell’Iva relativo al periodo di imposta successivo, coincidente con il 27 dicembre dell’anno seguente.
Resta ferma l’esclusione della pena se l’autore della violazione procede all’estinzione totale del debito tributario (spontanea o non) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado (articolo 13 D.Lgs. 74/2000).
Ciò premesso, la sentenza n.5513/2020 è di particolare interesse, poiché offre degli spunti di riflessione sui criteri di individuazione del soggetto responsabile del reato nell’ambito dell’Iva di gruppo, mettendo a fuoco l’influenza delle dinamiche relative ai rapporti “interni” tra le società partecipanti alla liquidazione unitaria.
Giova ricordare che l’opzione per la procedura Iva di gruppo, disciplinata dall’articolo 73, comma 3, D.P.R. 633/1972, permette alle società legate da rapporti di controllo ed in possesso di specifici requisiti (cfr. circolare 16/1986), di concentrare su un unico soggetto i versamenti dovuti ai fini Iva.
Più in dettaglio, il meccanismo prevede che la controllante proceda alla liquidazione e al versamento aggregato dell’Iva con compensazione delle posizioni debitorie e creditorie risultanti dalle liquidazioni delle entità aderenti al regime. Il soggetto chiamato ad adempiere all’obbligazione tributaria è, quindi, identificato nella società controllante, la quale provvede versare l’imposta per sé e per conto delle controllate e, parallelamente, a regolare finanziariamente i rapporti infragruppo connessi al trasferimento dei saldi.
Nella vicenda de qua tale meccanismo è stato approfondito sotto il profilo della responsabilità penale dei legali rappresentanti delle società rientranti nel perimetro dell’Iva di gruppo. Dalla pronuncia si ricava infatti che l’amministratore della controllante risponde del reato di omesso versamento dell’Iva di gruppo in virtù dei poteri di controllo esercitabili dalla capogruppo nei confronti delle controllate.
In sede penale, dunque, pare non operare il criterio della responsabilità solidale tra società controllante e società controllate, senza dubbio applicabile in ambito amministrativo tributario, seppur limitatamente alle somme dovute a titolo di debito d’ imposta (cfr. risoluzione 16/E/2001).
Il Giudizio scaturiva dal ricorso proposto dall’amministratore di una società a responsabilità limitata, la quale ometteva di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuto in base alla dichiarazione annuale per l’anno 2009, pari a complessivi euro 861.516 entro il termine previsto per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo.
Nel ricorso proposto, il rappresentante legale della società impugnava la sentenza della Corte di Appello di Firenze, denunciando la violazione e l’errata applicazione dell’articolo 10-ter D.Lgs. 74/2000, a motivo del fatto che l’omesso versamento dell’Iva non era ascrivibile alla condotta della Holding dal medesimo amministrata ma alle società partecipate, versandosi in ipotesi di consolidamento fiscale e di Iva di gruppo.
L’ amministratore della controllante, a questo proposito, lamentava l’assenza di fondi che le altre società avrebbero dovuto riversare per consentirgli di provvedere al pagamento di quanto dovuto all’Erario invocando, di conseguenza, la redistribuzione delle responsabilità in funzione dell’origine del debito tributario.
Inoltre, l’amministratore rimarcava l’assunto secondo il quale il reato non sarebbe stato consumato da quest’ultimo poiché il debito era maturato in capo a società giuridicamente distinte rispetto a quella da egli amministrata e, non ultima, l’insussistenza del dolo, trovandosi oggettivamente impossibilitato al pagamento dell’Iva in assenza di mezzi finanziari.
Ciononostante, la Suprema Corte ha respinto il ricorso in considerazione, principalmente, della mancata dimostrazione di azioni della società controllante volte ad ottenere le risorse finanziarie dalle relative controllate, anche tenuto conto del potere di direzione di cui normalmente dispone la società controllante nei riguardi delle sue partecipate.
La sentenza valorizza in questo senso la posizione di controllo che compete alla capogruppo, in qualità di società che detiene la maggioranza dei diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria delle controllate. In altri termini, gli omessi trasferimenti da parte delle controllate sono stati imputati, in definitiva, alla condotta della stessa società controllante, inerte perfino in presenza del legame partecipativo che legittimava quest’ultima a controllare e indirizzare la gestione delle seconde in virtù del controllo di diritto ex articolo 2359, comma 1, cod. civ..
Il Collegio giudicante ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso dell’amministratore, posto che l’indisponibilità delle somme necessarie per provvedere al pagamento dell’imposta non potesse ascriversi a fattori estranei alla sfera di dominio della controllante o da questa non governabili.
Viene inoltre chiarito che “la responsabilità della società o dell’ente controllante è certamente applicabile anche all’imposta sul valore aggiunto dovuta in base all’imponibile Iva di gruppo”, a nulla rilevando il regime di responsabilità solidale per le eccedenze non versate alla capogruppo previsto all’articolo 6, comma 2, D.M. 13/12/1979, ai sensi del quale: “le società controllate rispondono in solido con l’ente o società controllante delle somme o imposte risultanti dalle proprie liquidazioni periodiche o dalle proprie dichiarazioni e non versate all’ente o società controllante”.