28 Luglio 2020

La tassazione dei flussi convenzionali al nodo delle ritenute alla fonte

di Ennio Vial
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La scheda di FISCOPRATICO

Le convenzioni contro le doppie imposizioni prevedono generalmente una tassazione alla fonte sui flussi transnazionali come dividendi, interessi e canoni.

Esaminando il modello Ocse 2017, ad esempio, possiamo rilevare come l’articolo 10, relativo ai dividendi, preveda la tassazione nel Paese del percettore ma ammetta anche una tassazione nel Paese della fonte che, a seconda dei casi, non può eccedere il 5% o il 15%.

L’articolo 11, invece, prevede per gli interessi una tassazione del Paese della fonte nella misura massima del 10%.

L’articolo 12 relativo ai canoni, infine, prevede la tassazione esclusiva nel Paese del percettore. In relazione a questo ultimo aspetto, tuttavia, si ricorda che le convenzioni stipulate dall’Italia si differenziano sensibilmente dal modello in quanto prevedono generalmente una tassazione anche nel Paese della fonte. Non mancano, ad ogni buon conto, casi di convenzioni come quella con l’Ungheria che riservano la tassazione esclusivamente nel Paese del percettore.

Nella prassi operativa siamo soliti guardare queste tassazioni come se si trattasse di ritenute alla fonte a titolo di imposta operate dal soggetto pagante. Si tratta tuttavia di un approccio non corretto.

Una attenta lettura del disposto convenzionale, infatti, permette di notare come la tassazione del Paese della fonte non debba essere operata sempre come ritenuta ma più generalmente con le modalità previste nel Paese della fonte.

Da ciò possiamo quindi arguire che quelle percentuali del 5, 10 o 15% che solitamente leggiamo negli articoli dei flussi sono ritenute alla fonte solo se il Paese del percettore prevede l’applicazione di una ritenuta. Diversamente, il soggetto estero sarà tenuto ad autoliquidare l’imposta in Italia presentando il Modello Redditi.

È bene esaminare il percorso logico del ragionamento. Innanzitutto, si deve esaminare l’articolo 3 Tuir, richiamato anche per le società e gli enti non commerciali secondo cui il soggetto non residente risulta tassato in Italia esclusivamente sui redditi prodotti nel nostro territorio. La lista dei redditi prodotti in Italia è rinvenibile nel successivo articolo 23, dove si possono leggere tutte e tre le casistiche dei flussi segnalati in precedenza.

A questo punto il soggetto estero dovrebbe procedere all’autoliquidazione delle imposte attraverso il modello Redditi. Sul punto, tuttavia, soccorre il D.P.R. 600/1973 che prevede l’applicazione di ritenute alla fonte a titolo di imposta. La ritenuta in luogo dell’autoliquidazione rappresenta una forma di cortesia nei confronti del soggetto non residente che si vede così esonerato da fastidiosi adempimenti dichiarativi, ma rappresenta nel contempo una misura volta a prevenire il rischio di evasione.

Il problema è che non sempre il soggetto pagante è un sostituto di imposta. Un caso posto all’attenzione dell’Agenzia, ad esempio, è stato quello di una società estera (nel caso di specie una banca) che eroga dei finanziamenti a dei soggetti privati residenti. Si pensi al caso di un mutuo erogato da una banca non residente a un privato residente in Italia.

Ripercorrendo l’iter logico del ragionamento proposto in precedenza si giunge alla conclusione che la banca estera deve presentare la dichiarazione dei redditi nel nostro Paese applicando una Ires del 10%, in quanto la convenzione ammetteva una tassazione massima nel Paese della fonte del 10%. In tal senso segnaliamo la risoluzione 89/E/2012, la risposta ad interpello n. 41 del 23.10.2018 e la risposta ad interpello n. 379 del 11.09.2019.

Non vi è dubbio che in questi casi gli adempimenti della Banca estera risultano più gravosi ma il contribuente italiano non può operare alcuna ritenuta se non è sostituto di imposta.

Dalla lettura dei vari interventi di prassi si possono anche desumere delle possibili soluzioni al problema.

A parte la banale osservazione secondo cui la banca estera può evitare clienti privati italiani, dalla risoluzione 89/E/2012 si evince che, affidando il mutuo ad una fiduciaria italiana, la stessa opererà come sostituto di imposta la ritenuta nei confronti della banca estera (nel caso di specie si trattava di una banca svizzera).

Un’ulteriore via da valutare potrebbe essere quella di far accendere il mutuo non da persone fisiche ma da un trust fiscalmente residente in Italia. Il trust, infatti, pur essendo una entità che opera nella sfera privatistica, è inquadrato nel nostro ordinamento come un sostituto di imposta.