I dividendi tassati al 26% al nodo del credito per le imposte estere
di Ennio VialLo scomputo delle ritenute subite all’estero, sui flussi di dividendi non paradisiaci percepiti da privati e soggetti alla tassazione sostitutiva del 26%, si scontra con la tesi negazionista da sempre propugnata dall’Amministrazione finanziaria.
L’Agenzia, infatti, ha, a più riprese, affermato che il credito non è concesso in quanto il dividendo, essendo assoggettato ad una tassazione sostitutiva, non concorre al reddito complessivo.
Il principio è stato sostenuto in modo organico nella circolare 9/E/2015 ed è stato ripreso più recentemente nella risposta ad interpello 21.4.2020, n. 111.
Una significativa apertura da parte dell’Agenzia era apparsa con le istruzioni del Modello Redditi 2020 dove, nel rigo RM12, aveva fatto capolino una nuova casella denominata credito di imposta. Purtroppo, il sogno è stato presto infranto ad opera della revisione delle istruzioni e dei modelli datata 27.4.2020 che hanno riservato la nuova colonna esclusivamente al caso del credito IVCA, ossia ad un caso particolare che riguarda esclusivamente le polizze e non anche i dividendi societari.
Ad onor del vero l’entusiasmo iniziale era già stato minato dalla citata risposta n. 111/2020 che, come abbiamo segnalato, confermava il tradizionale orientamento dell’Ufficio. In realtà non tutto era perduto, in quanto il caso aveva ad oggetto la tassazione di dividendi percepiti nel 2018 quando la nuova casella non era presente.
Una interpretazione possibile, che poteva rendere coerente le nuove indicazioni del Modello dichiarativo con la risposta dell’Agenzia, poteva essere quella che faceva decorrere il cambio di rotta dell’ufficio a partire dall’anno 2019, dichiarato nel 2020. La risposta n. 111, infatti, risultava coerente con il vecchio approccio, in quanto esaminava l’anno 2018. Purtroppo, ogni speranza è venuta meno con la rettifica del Modello dichiarativo del 27 aprile.
Il quadro che ne esce, pertanto, è desolante. Potrebbe accadere che un dividendo white subisca una tassazione più pesante rispetto a quella di un dividendo paradisiaco. Infatti, vi sono diverse convenzioni stipulate dall’Italia che prevedono una ritenuta del 15%. È il caso, ad esempio, della convezione con la Svizzera, con l’Austria e con il Lussemburgo. Applicando l’imposta sostitutiva del 26% sul lordo frontiera, ne esce un prelievo complessivo del 41%. La tassazione dei dividendi paradisiaci, invece, potrebbe scontare un prelievo del 43% (senza conteggiare le addizionali regionali e comunali) che appare altrettanto rilevante, ma, trattandosi di Irpef, consente almeno la detraibilità e la deducibilità di oneri.
Quali strategie potrebbero essere valutate per cercare di gestire questo problema? Senza entrare, in questa sede, nel merito dei profili di abuso di diritto, si può segnalare che la detenzione di una società estera attraverso una società di capitali italiana permette di azzerare o ridurre la ritenuta in uscita dal Paese estero. L’azzeramento è generalmente possibile quando ci si muove in ambito comunitario, per cui opera la direttiva madre figlia. Qualora la società sia extracomunitaria, la ritenuta è generalmente prevista e il mancato scomputo della stessa in Italia discende dal fatto che il dividendo tassato sul 5% consentirà lo scomputo della ritenuta estera nel limite del 5% della stessa.
Spesso, tuttavia, le convenzioni prevedono, nel caso di socio società di capitali, una ritenuta minore rispetto a quella applicabile in caso di soci persone fisiche.
Una ulteriore valutazione da fare attiene alla eventualità di detenere la partecipazione estera attraverso un trust italiano.
Poiché lo stesso è assimilato generalmente ad un ente non commerciale, i dividendi (quanto meno quelli maturati dal 2017) saranno soggetti a tassazione sull’intero ammontare. Sarà possibile, in questo caso, scomputare il credito a fronte delle imposte estere in quanto il dividendo in capo al trust sconterà Ires e non imposte sostitutive.