27 Luglio 2020

Esclusione dagli appalti pubblici per accertamenti non definitivi

di Roberto Curcu
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Il 17 luglio è entrato in vigore il Decreto “semplificazioni” (D.L. 76/2020), il quale, contrariamente al nome che gli è stato attribuito, inserisce una norma che rischia di portare enormi complicazioni e rallentamenti nelle procedure di appalto pubblico.

In particolare, l’articolo 8, comma 5, lettera b) del decreto, modifica l’articolo 80 del codice appalti prevedendo che “Un operatore economico può essere escluso dalla partecipazione a una procedura d’appalto se la stazione appaltante è a conoscenza e può adeguatamente dimostrare che lo stesso non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse o dei contributi previdenziali non definitivamente accertati qualora tale mancato pagamento costituisca una grave violazione (…)”.

La “grave” violazione è il mancato pagamento di imposte e tasse di importo superiore a 5.000 euro, e non è necessario, come prima, che tale violazione sia definitivamente accertata, ma è sufficiente che la stazione appaltante possa adeguatamente dimostrare l’omesso pagamento, sulla base di informazioni venute a sua conoscenza. In sostanza, il rischio è che, in presenza di contestazioni fiscali nelle quali l’imposta evasa contestata superi 5.000 euro, si venga esclusi dalla possibilità di partecipare a gare pubbliche.

La relazione di accompagnamento alla norma precisa che la stessa è stata inserita in quanto la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro lo Stato italiano, poiché nel recepimento della Direttiva 24/2014 non è stata correttamente recepita la disposizione (articolo 57, paragrafo 2, secondo periodo) che prevede che “le amministrazioni aggiudicatrici possono escludere o possono essere obbligate dagli Stati membri a escludere dalla partecipazione a una procedura d’appalto un operatore economico se l’amministrazione aggiudicatrice può dimostrare con qualunque mezzo adeguato che l’operatore economico non ha ottemperato agli obblighi relativi al pagamento di imposte o contributi previdenziali”. La relazione tecnica precisa che, “in ossequio al principio di proporzionalità”, la esclusione dalle gare pubbliche scatti sopra i 5.000 euro.

La Direttiva Europea, tuttavia, prevede che la misura dell’esclusione non scatti quando il contribuente  paga o si impegna in modo vincolante a pagare la maggiore imposta, le sanzioni e gli interessi di mora; tale causa di esclusione è stata recepita dal legislatore italiano, il quale ha previsto che la disposizione  non si applica quando l’operatore economico ha ottemperato ai suoi obblighi pagando o impegnandosi in modo vincolante a pagare le imposte o i contributi previdenziali dovuti, compresi eventuali interessi o multe, ovvero quando il debito tributario o previdenziale sia comunque integralmente estinto, purché l’estinzione, il pagamento o l’impegno si siano perfezionati anteriormente alla scadenza del termine per la presentazione delle domande.

È chiaro che la norma interessa più i professionisti in ambito legale, i quali, però, dovranno necessariamente confrontarsi con chi conosce i meccanismi del Fisco.

Sul punto, visto che la norma è già in vigore e si applica, in particolare, ai bandi di gara pubblicati dopo il 17 luglio, i quesiti che si pongono sono già attuali: la stazione appaltante avrà l’obbligo di escludere dalla gara in presenza di accertamenti non definitivi, o manterrà comunque una certa discrezionalità? Qualora abbia la discrezionalità, la scelta di escludere o meno sarà valutabile dal giudice amministrativo, adito dal contribuente o dai suoi concorrenti? La dimostrazione di non aver pagato le imposte, potrà essere costituita da un avviso di accertamento o anche da un semplice processo verbale di constatazione? La domanda però che forse interessa più i professionisti che operano in ambito fiscale è: cosa si intende per impegno vincolante al pagamento di imposte, sanzioni ed interessi?

Quasi sicuramente ricade nella fattispecie l’acquiescenza alla pretesa fiscale ed una sua richiesta di rateazione, ma se la norma restasse inalterata in sede di conversione, deve essere ritenuto possibile assumere un impegno al pagamento della somma che risulterà dovuta a seguito di un contenzioso tributario.

Se da un lato la Corte di Giustizia ha già statuito, su un caso analogo, che una semplice impugnazione di una contestazione non può da sola riammettere l’impresa alla gara, è evidente che una semplice contestazione non può in automatico escluderla, in attuazione del principio comunitario di proporzionalità e di tutela giurisdizionale effettiva, applicabili alla realtà italiana.

Posto che nel nostro Paese possono passare anni dalla constatazione di una violazione alla sua definizione, l’impresa che intenda contestare una pretesa erariale rischia di dover rimanere con un carico pendente per una decina di anni (tempi di una sentenza di Cassazione) ed in tale lasso rimanere anche esclusa dalle gare di appalto; l’impresa che lavora in genere con la pubblica amministrazione, verrebbe nei fatti privata del proprio diritto di difesa.

Ad avviso di chi scrive, quindi, chi sarà tenuto a convertire tale norma in legge, dovrebbe essere in possesso di alcuni dati che non credo siano disponibili per i comuni cittadini, ma che sarebbero forniti come risposta ad un question time.  Nel nostro Paese, infatti, l’Amministrazione finanziaria fornisce quelli delle proprie vittorie in contenzioso, ritenendo un segno di efficienza anche la vittoria parziale.

Qualora la norma rimanesse inalterata, va però considerato che un imprenditore deve avere il diritto di impugnare anche gli avvisi di accertamento parzialmente illegittimi, senza per questo essere escluso dalle gare di appalto; è quindi opportuno sapere quante sono le volte che un contribuente che ha esperito il contenzioso, anche in modo parziale, ha avuto ragione.

Si dovrebbero conoscere, inoltre, quanti sono gli atti di accertamento che vedono ridotta la loro portata a seguito di procedure conciliative; posto che tra la loro emissione e la loro definizione possono passare anche 150 giorni, in tale lasso temporale una impresa non disposta al pagamento della pretesa originaria potrebbe essere impossibilitata a partecipare alle gare di appalto.

Infine, se la norma si applicasse ai processi verbali di constatazione, bisognerebbe sapere quante volte l’intera pretesa contestata in un PVC è stata definita o si è reso definitivo un atto sulla somma originaria.

Chi dovrà convertire il decreto legge dovrebbe pensare anche che potrebbero porsi questi tre problemi: il primo, ovviamente, riguardante la vita dell’impresa che lavora con la pubblica amministrazione, il secondo, che è relativo alla possibile contrarietà della norma ai canoni costituzionali e comunitari, e la terza, che riguarda la responsabilità dell’amministrazione finanziaria (e forse anche quella dei suoi funzionari) in sede civile, qualora l’atto che ha impedito ad una impresa di svolgere il proprio lavoro venga poi dichiarato illegittimo.