Fatture per operazioni inesistenti e le importanti modifiche al modello 231
di Marco BargagliSulla base del prevalente orientamento giurisprudenziale sempre più consolidatosi nel tempo, per applicare specifiche sanzioni al contribuente coinvolto in una frode fiscale, l’Amministrazione finanziaria deve provare l’oggettiva fittizietà dell’operazione posta in essere e, simmetricamente, anche la consapevolezza del cessionario di prendere parte ad un sistema evasivo.
In tale contesto, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, deve emergere che il soggetto passivo era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del fornitore (Corte di Cassazione, ordinanza n. 33320 del 17.12.2019).
Più di recente, sempre la suprema Corte di cassazione, sezione V° civile, con l’ordinanza n. 15005/2020 del 15.07.2020, ha confermato tale approccio ermeneutico ponendo in evidenza i profili di responsabilità dell’acquirente.
Nello specifico, gli Ermellini si sono espressi in ordine ad una frode carosello perpetrata mediante l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, rilevando come il giudice di appello aveva statuito che, in tema di Iva, il ricorso presentato dall’Agenzia delle entrate doveva essere accolto in quanto “non è consentito portare in detrazione l’iva versata in relazione a fatture che non siano intestate all’effettivo venditore o acquirente; e l’operatore è tenuto a verificare con attenzione la provenienza delle merci acquistate, specie quando esse, come ampiamente dimostrato nell’avviso di accertamento, provengano da soggetti evanescenti e sospetti, dediti ad altre attività”.
I giudici di legittimità, confermando il loro precedente orientamento, hanno posto in evidenza che “in tema di Iva, l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziarla, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente».
In buona sostanza, incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi.
La consapevolezza dell’acquirente assume particolare rilevanza anche alla luce delle recenti novità introdotte circa la responsabilità amministrativa delle società e degli enti prevista dal D.Lgs. 231/2001, modificato dal D.Lgs. 75/2020 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 15 luglio 2020.
Tale importante novella normativa deriva dal recepimento della direttiva Pif (Direttiva UE n. 2017/1371, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale), avvenuto in esito al conferimento, con L. 117/2019 di delega al Governo, con contestuale applicazione di sanzioni previste proprio in tema di frodi fiscali commesse in ambito Iva.
Nello specifico, l’articolo 5 del citato D.Lgs. 75/2020 prevede che, in relazione alla commissione dei delitti previsti dal D.Lgs. 74/2000, se commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro, si applicano all’ente le seguenti sanzioni pecuniarie:
- per il delitto di dichiarazione infedele previsto dall’articolo 4 D.Lgs. 74/2000, la sanzione pecuniaria fino a trecento quote;
- per il delitto di omessa dichiarazione previsto dall’articolo 5 D.Lgs. 74/2000, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote;
- per il delitto di indebita compensazione previsto dall’articolo 10-quater D.Lgs. 74/2000, la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
Ciò posto, analizziamo singolarmente le importanti modifiche intervenute.
Prima del recepimento della direttiva comunitaria:
- l’articolo 6, comma 1, D.Lgs. 74/2000 prevedeva che “i delitti previsti dagli articoli 2, 3 e 4 non sono comunque punibili a titolo di tentativo”;
- l’articolo 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001 prevedeva la responsabilità amministrativa delle società e degli enti unicamente per i reati connotati da un maggior grado di fraudolenza previsti dal D.Lgs. 74/2000 (ossia l’articolo 2: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; l’articolo 3: dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; l’articolo 8: emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; l’articolo 10: occultamento o distruzione di documenti contabili; l’articolo 11: sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte).
Di contro, dopo il recepimento della direttiva comunitaria:
- all’articolo 6 D.Lgs. 74/2000 è stato aggiunto il comma 1-bis, il quale prevede che: “Salvo che il fatto integri il reato previsto dall’articolo 8, la disposizione di cui al comma 1 non si applica quando gli atti diretti a commettere i delitti di cui agli articoli 2, 3 e 4 sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea, al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro”.
- l’articolo 25-quinquiesdecies D.Lgs. 231/2001 prevede attualmente la responsabilità amministrativa delle società e degli enti anche per tutta una serie di ulteriori reati previsti dal D.Lgs. 74/2000 (ossia per l’articolo 4, dichiarazione infedele; per l’articolo 5, omessa dichiarazione; per l’articolo 10-quater, indebita compensazione).
Inoltre, tenuto conto che la direttiva Pif prevede che i reati in materia di Iva sono sanzionabili anche a titolo di mero tentativo, per adeguare la normativa domestica, il D.Lgs. 75/2000 ha introdotto – all’articolo 6 D.Lgs. 74/2000 – il comma 1-bis che, come detto, oggi contempla la punibilità a titolo di tentativo (che viene così estesa anche alla frode fiscale e alle fatture per operazioni inesistenti).
In buona sostanza, il modello 231 sarà applicabile anche alle grandi evasioni, prevedendo in tale contesto l’applicazione di sanzioni molto pesanti.
In merito, per dimostrare la buona fede dell’acquirente, nell’ambito di un’adeguata prevenzione dei rischi prevista dal D.Lgs. 231/2001, si consiglia di fornire la pertinente prova utile a dimostrare che il contribuente ha posto in essere ogni utile iniziativa al momento dell’acquisto di beni o servizi anche da società rivelatesi poi “cartiere”, dimostrando così l’ordinaria diligenza richiesta dall’elaborazione giurisprudenziale di riferimento sopra illustrata.