Ritenute sul reddito di lavoro autonomo internazionale a scoppio ritardato
di Ennio VialLa risposta all’istanza di interpello n. 512 dell’11.12.2019 ha affrontato il caso di un lavoratore autonomo residente fiscalmente in Italia nell’anno “n” in cui ha emesso parcelle per attività svolta, che vengono incassate nell’anno successivo. Si tratterebbe di una banale casistica di applicazione del principio di tassazione per cassa, se non fosse che, al momento del pagamento (anno n+1), il professionista è divenuto non residente.
L’Agenzia conclude, in modo invero un po’ frettoloso, ritenendo che, trattandosi di un reddito derivante dall’esercizio di un’attività indipendente svolta nell’anno “n” nel territorio italiano, il nostro Paese conserva la potestà impositiva sugli emolumenti in esame, sebbene percepiti dall’istante nell’anno successivo, ai sensi delle disposizioni contenute nell’articolo 14, paragrafo 1, della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Spagna.
Ne consegue che le somme in oggetto, percepite nell’anno n + 1, rientrano nel regime fiscale previsto dall’articolo 25, comma 2, primo periodo, D.P.R. 600/1973, secondo cui i compensi per prestazioni di lavoro autonomo, anche non abituale, corrisposti a soggetti non residenti devono essere assoggettati alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 30 per cento.
La risposta all’interpello non motiva sufficientemente il ragionamento svolto.
Quello che emerge è che l’articolo 23 Tuir, laddove prevede la rilevanza italiana delle prestazioni di lavoro autonomo svolte in Italia, presenterebbe una sorta di efficacia diluita nel tempo.
In sostanza, una volta battezzata la rilevanza italiana delle prestazioni erogate, questa proseguirebbe in modo indefinito fino al momento dell’incasso.
L’articolo 23 stabilisce che “ai fini dell’applicazione dell’imposta nei confronti dei non residenti si considerano prodotti nel territorio dello Stato:
d) i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate nel territorio dello Stato”.
Nel nostro caso, il professionista ha trasferito la residenza in Spagna nell’anno n+1.
Possiamo quindi affermare che, ai fini dell’applicazione dell’imposta a detto soggetto che non è residente, la lett. d) prevede la rilevanza in Italia del reddito di lavoro autonomo derivante da attività esercitata in Italia. In effetti, l’attività è stata esercitata in Italia nell’anno precedente e tale aspetto non pare rilevare ai fini della applicazione dell’articolo 23.
Possiamo quindi accettare l’idea che la norma interna ammetta questo effetto differito. Tuttavia, ciò che non convince della risposta è la giustificazione sulla base della Convenzione.
In effetti, la formulazione dell’articolo 14 è quella classica, presente nella maggior parte delle convenzioni italiane, secondo cui i redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale residente non disponga abitualmente, nell’altro Stato contraente, di una base fissa per l’esercizio delle sue attività.
Se egli dispone di tale base, i redditi sono imponibili nell’altro Stato, ma unicamente nella misura in cui sono imputabili a detta base fissa. La tassazione in capo al non residente spagnolo, pertanto, è subordinata alla presenza di una base fissa in Italia per l’esercizio delle attività.
I compensi, nel nostro caso, sono derivati da una attività italiana, ma non svolti da una base fissa di un non residente, a meno che non vogliamo intendere che l’attività italiana svolta nell’anno “n” costituisce comunque una base fissa, di un soggetto che è divenuto non residente nell’anno successivo.
L’idea potrebbe essere quella di interpretare l’articolo 14 nel seguente modo. Il non residente spagnolo sarà tassato in Italia sui redditi, ma solamente se legati alla base fissa italiana che, pur non esistendo nell’anno n + 1, esisteva nell’anno n, in quanto la base fissa sussiste in Italia anche sotto forma di attività svolta da un residente.
Questo spunto potrebbe trovare qualche appiglio nel punto 81 del Commentario Ocse, all’articolo 5, dove si legge che “the definition of permanent establishment is not limited to situations where a resident of one Contracting State uses or maintains a fixed place of business in the other State; it applies equally where an enterprise of one State uses or maintains a fixed place of business in that same State)”.
Questa interpretazione che, ad avviso di chi scrive, appare tutt’altro che pacifica, non risolve il problema pratico di valutare se il Paese estero aderisce alla medesima interpretazione.
D’altro canto, la sussistenza della stabile porterebbe, sempre ad avviso di chi scrive, ad escludere l’applicazione della ritenuta del 30% a favore della liquidazione dell’Irpef dovuta nel modello Redditi del contribuente.
La questione merita ulteriori spunti ed approfondimenti.