La mancanza dell’inventario legittima tout court l’accertamento induttivo
di Sergio PellegrinoCon l’ordinanza 19658 depositata in Cancelleria nella giornata di ieri, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità di un accertamento induttivo esperito dall’Agenzia delle entrate nei confronti di una società in nome collettivo.
Sia in primo che in secondo grado le tesi difensive sostenute dalla società e dai soci non sono state avallate dai giudici, che hanno ritenuto corretto il comportamento posto in essere da parte dell’ufficio nell’applicazione dell’articolo 39 comma 2 del D.P.R. 600/1973.
Nella sentenza della Commissione Tributaria Regionale si evince, infatti, come il collegio giudicante abbia considerato l’accertamento legittimamente strutturato e motivato, avendo l’Agenzia indicato specificamente le gravi, numerose e ripetute irregolarità contabili che hanno reso inattendibili nel loro complesso le scritture stesse.
In particolare, nel corso della verifica era stata riscontrata:
- l’irregolare tenuta dei libri matricola, che evidenziavano una totale assenza di personale dipendente per un certo lasso temporale, pur in presenza di report di interventi operativi redatti dagli operatori stessi;
- la presenza di gravi irregolarità anche con riferimento al libro giornale, con la mancata redazione dell’inventario e rilevanti discordanze tra rimanenze iniziali e finali;
- un andamento “anomalo” del conto cassa e incoerenze anche fra le risultanze contabili e i movimenti di conto corrente.
Nel richiedere la cassazione della sentenza, i ricorrenti hanno dedotto innanzitutto la nullità della stessa per carenza assoluta di motivazione: questo sulla base del fatto che il testo della pronuncia della Commissione Tributaria Regionale avrebbe ricalcato integralmente la memoria difensiva in appello dell’Agenzia delle Entrate.
La Suprema Corte ritiene la censura infondata, non potendosi riscontrare un vizio di omesso esame dell’atto d’appello da parte dei giudici della CTR e quindi l’asserita violazione dei diritti di difesa di ricorrenti sulla base di quanto previsto dal n. 4 dell’articolo 360 del codice di procedura civile.
Viene respinto anche il secondo motivo di ricorso, con il quale era stata dedotta nullità della sentenza, sempre sulla base della norma sopra richiamata, per avere la Commissione Tributaria Regionale omesso di esaminare e motivare sulle singole censure articolate nell’atto d’appello: in realtà, secondo la Cassazione, la motivazione della sentenza d’appello si fonda su argomenti estremamente analitici e puntuali relativi a tutti gli aspetti di merito controversi.
Venendo al merito, con il terzo motivo i ricorrenti hanno contestato la sussistenza dei presupposti per l’accertamento induttivo: in particolare non vi sarebbero stati sufficienti motivi per ritenere inattendibili le scritture contabili, essendo le mancanze riscontrate prive di caratteri di gravità, precisione e concordanza richiesti.
Anche in questo caso il collegio giudicante non ha ritenuto condivisibili le tesi difensive, ritenendo invece che la mancata presenza dei dipendenti nelle risultanze del libro matricola nel periodo indicato, le discordanze fra rimanenze finali e rimanenze iniziali, il conto cassa andato in negativo per migliaia di euro in diversi momenti dell’anno, rappresentassero violazioni gravi e sicuramente idonee a supportare l’accertamento induttivo.
La Corte sottolinea poi come, in realtà, anche la sola mancata redazione dell’inventario, carenza ovviamente incontrovertibile da parte della società, sarebbe stata di per sé sufficiente a legittimare l’accertamento induttivo.
Vale quindi la pena di sottolineare, una volta di più, l’attenzione da riservare alla corretta predisposizione dell’inventario da parte delle imprese, attesa la rilevanza che ad esso attribuisce, ai fini della legittimazione dell’accertamento induttivo, quello che si può considerare un granitico orientamento assunto al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità.