Società non operative: legittimo il diniego al rimborso del credito Iva
di Gioacchino De PasqualeLa Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23655, depositata ieri, 28 ottobre, ha confermato il principio in base al quale è legittimo il diniego al rimborso del credito Iva da parte dell’Amministrazione Finanziaria alla società di comodo, anche senza l’attivazione del contradditorio endoprocendimentale, se questa non ha presentato apposito interpello preventivo.
Si premette che ai sensi dell’articolo 30, comma 4, L. 724/1994, la qualifica di “società di comodo” comporta l’impossibilità di richiedere il rimborso o la compensazione (orizzontale) dell’eccedenza del credito risultante dalla dichiarazione annuale Iva ovvero la cessione a terzi del credito stesso.
Inoltre, qualora la “qualifica” di società di comodo si protragga per tre periodi di imposta consecutivi è preclusa la compensazione verticale del credito Iva.
Relativamente alla disapplicazione della disciplina indicata, la società che ritenga sussistenti delle “oggettive situazioni” che hanno causato il verificarsi dei requisiti per l’attribuzione di società di comodo, può disapplicare la disciplina mediante presentazione di istanza di interpello oppure mediante autovalutazione (presentando dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex articoli 46 e 47 D.P.R. 445/2000 e mediante compilazione dell’apposito campo del quadro VX della dichiarazione Iva) della sussistenza di tali “oggettive situazioni”, di cui deve essere data indicazione in sede di compilazione della dichiarazione dei redditi (articolo 30, comma 4-bis, L. 724/1994). La società deve dare indicazione anche dell’eventuale avvenuta presentazione dell’istanza di interpello e dell’esito della relativa risposta.
Si evidenzia ulteriormente che, come chiarito nella circolare 33/E/2016, nel caso in cui siano presentate preventivamente le istanze di interpello, sia in qualità di società non operative sia in qualità di società in perdita sistematica, il rimborso viene erogato o denegato a seguito dell’esito, anche tacito, degli interpelli.
Nel caso sottoposto al vaglio della Suprema Corte, l’Amministrazione Finanziaria aveva negato il rimborso del credito Iva ad una società, qualificata come di “comodo”, in applicazione del richiamato articolo 30, comma 4, L. 724/1994.
La società lamentava (con il supporto di prove documentali) la sussistenza di “oggettive situazioni” che le avevano causato l’attribuzione della qualifica di “società di comodo”, ed in particolare l’impossibilità di dare seguito all’attività aziendale per l’inadempienza del suo principale committente.
La società evidenziava inoltre che l’Amministrazione Finanziaria non aveva tenuto conto delle citate “oggettive situazioni” e che non era stato possibile fornire le proprie ragioni (va evidenziato che la società non aveva presentato preventivo interpello) per la mancata attivazione del contradditorio endoprocedimentale. Per tali motivi, la società chiedeva l’annullamento dell’atto e l’erogazione del rimborso Iva.
La mancata attivazione del contradditorio endoprocedimentale aveva indotto sia la CTP che la CTR ad avallare le ragioni del contribuente e sancire la legittimità del rimborso del credito Iva.
La Suprema Corte ha cassato la decisione della CTR, evidenziando che per gli accertamenti dei tributi armonizzati, nel caso di specie l’Iva, sussiste l’obbligo di contradditorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto, solo nel caso in cui il contribuente abbia esposto in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere.
Nel caso di specie, la mancata presentazione dell’interpello da parte del contribuente, aveva “annullato” l’obbligo di attivazione del contradditorio endoprocedimentale, legittimando il diniego al rimborso del credito Iva da parte dell’Amministrazione Finanziaria.