La riforma dello sport e il codice del terzo settore
di Guido MartinelliAppare interessante analizzare lo schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri in attuazione dell’articolo 5 L. 86/2019, recante il riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo, raffrontandolo con la disciplina vigente del codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017).
Il primo punto da sottolineare è l’articolo 5, comma 2, laddove viene previsto che gli enti sportivi dilettantistici “ricorrendone i presupposti possono assumere la qualifica di enti del terzo settore … e di imprese sociali, in tal caso le norme del presente decreto trovano applicazione solo in quanto compatibili”.
Si conferma, pertanto, la possibilità del doppio binario. Un sodalizio, quindi,
- potrà rivestire solo lo status di società o associazione sportiva dilettantistica, in tal senso applicherà le norme dei decreti in corso di emanazione e applicherà la disciplina fiscale prevista per le sportive (sul punto si veda anche la circolare AdE 18/E/2018),
- oppure potrà ricoprire “anche” la natura di ente del terzo settore (nelle sue varie diramazioni: organizzazione di volontariato, associazione di promozione sociale, impresa sociale, altri enti del terzo settore) e, in tal caso, applicare esclusivamente la disciplina specifica prevista per tale fattispecie, oltre a quella sportiva, per quanto compatibile.
Importante richiamo lo ritroviamo anche all’articolo 7, ove per la definizione di divieto di scopo di lucro indiretto si fa riferimento all’analogo contenuto del D.Lgs. 112/2017 per l’impresa sociale.
Così come previsto dal codice del terzo settore (vedi gli articoli 5 e 6, disciplinanti le attività di interesse generale e diverse) anche il nuovo decreto sullo sport prevede che, per gli enti dilettantistici, l’attività sportiva debba essere svolta “in via stabile e principale” e disciplina, poi, all’articolo 8 (che rubrica “Attività secondarie e strumentali”) la possibilità di esercitare “attività diverse”, purché queste siano previste espressamente in statuto e che “abbiano carattere secondario e strumentale rispetto alle attività istituzionali secondo criteri e limiti definiti con decreto…”.
Con l’auspicio che, una volta entrata in vigore la riforma, non si ripeta, per l’approvazione di questo decreto, quanto sta accadendo nel terzo settore (nell’ambito del quale, ad oltre tre anni dalla entrata in vigore del codice, si sta ancora attendendo il decreto sulle attività diverse), non possiamo non temere gli effetti di questa norma: è tipico di molte attività sportive avere un mix di proventi, di natura diversa, che vengono conseguiti proprio per il fine di finanziare le attività sportive (si pensi alle attività di ristorazione, di pubblicità e sponsorizzazione, di merchandising, di gestione di attività estetiche o fisioterapiche).
Cosa accadrà se queste, come spesso avviene, siano di importo maggiore di quelle conseguite con lo svolgimento delle attività sportive tipiche? Non potranno essere utilizzate? Una risposta urgente sul punto appare necessaria.
Un altro punto di contatto è tra la disciplina delle Ssd e quella della impresa sociale. Infatti, l’articolo 7, comma 3, per le società sportive, di persone o di capitali, è identico, nel contenuto, all’articolo 3, comma 3, D.Lgs. 112/2017 per le imprese sociali.
Viene prevista, in entrambe le fattispecie, la possibilità di destinare “una quota inferiore al cinquanta per cento degli utili e degli avanzi di gestione annuali” ad aumento gratuito di capitale, oppure la distribuzione di dividendi ai soci in misura comunque non superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.
Rimane, però, irrisolta (e forse aggravata) la questione, per le sportive che assumeranno la veste anche di enti del terzo settore, del come inquadrare, nella disciplina del codice del terzo settore, il rapporto con gli odierni percettori dei c.d. compensi sportivi, ovvero della previsione contenuta nell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir.
Infatti la riforma sullo sport li suddivide tra lavoratori e “amatori”. La categoria dei lavoratori appare sicuramente speculare a quella già indicata nel codice del terzo settore: pertanto per costoro non paiono presentarsi dubbi interpretativi. Chi è “lavoratore” per l’emanando decreto sullo sport, lo sarà anche per la disciplina del terzo settore
I problemi nascono con la categoria degli “amatori”. Infatti il codice del terzo settore contrappone ai lavoratori i volontari, ritenendo tali coloro i quali svolgono la loro attività in maniera gratuita escludendo: “in ogni caso (…) rimborsi spese di tipo forfettario”.
Gli amatori dello sport, invece, possono ricevere “indennità di trasferta e rimborsi spese anche forfettari” entro il vigente limite dei 10.000 euro l’anno.
Pertanto gli amatori dei club sportivi che accederanno al terzo settore dovranno rimanere senza rimborso spese forfettario? Allo stato attuale la risposta non può che essere affermativa.