15 Dicembre 2020

Accertamento induttivo ad ampio raggio

di Angelo Ginex
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La scheda di FISCOPRATICO

L’accertamento induttivo o extracontabile è disciplinato dall’articolo 39, comma 2, D.P.R. 602/1973, il quale consente la determinazione del reddito d’impresa o di lavoro autonomo sulla base di dati o notizie raccolti dall’Amministrazione finanziaria o venuti a sua conoscenza, nonché sulla base di presunzioni semplicissime, ovvero anche prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Dunque, tale tipologia di accertamento, che consente di prescindere, in tutto o in parte, dalle risultanze contabili, «rappresenta un sistema eccezionale, che si pone evidentemente all’estremo opposto di quello analitico-contabile ed applicabile solo in presenza degli specifici presupposti indicati» dal comma 2 del citato articolo 39, così come sottolineato dalla stessa Guardia di Finanza nella nota circolare n. 1/2018.

D’altronde, è costante in giurisprudenza l’affermazione del principio di diritto secondo cui «nel caso in cui l’accertamento sia condotto con metodo induttivo a termini dell’art. 39, comma 2, d.P.R. n. 600/1973, l’amministrazione ha facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e può fondare l’accertamento su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, con inversione dell’onere della prova in capo a parte contribuente, di provare che il reddito accertato non è stato conseguito» (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 20793 del 30.09.2020).

Con riferimento alle condizioni di applicabilità di tale metodologia di accertamento, premesso che la casistica è piuttosto ampia, si rammenta che sono tali:

  • l’omessa presentazione della dichiarazione;
  • la mancata indicazione del reddito d’impresa in dichiarazione;
  • la rilevazione, mediante verbale d’ispezione, di contabilità omessa, sottratta, non disponibile e inattendibile;
  • l’inottemperanza del contribuente agli inviti disposti dagli uffici;
  • le irregolarità dichiarative relative agli studi di settore.

In relazione all’inottemperanza del contribuente agli inviti dell’Amministrazione, occorre evidenziare che l’accertamento induttivo viene considerato legittimo persino quando sia stato fissato un termine per esibire i documenti inferiore a 15 giorni, poiché ciò, in presenza di una mancata produzione delle scritture contabili, evidenzia un comportamento “assolutamente negligente e non cooperativo” (cfr. CTR Lazio, sentenza n. 2635/2020).

Rimanendo in tema di vizi concernenti la contabilità in generale, è d’uopo sottolineare come anche la mancata redazione dell’inventario sia sufficiente a far scattare l’accertamento induttivo a carico dell’impresa.

Sul punto, la Corte di Cassazione ha evidenziato infatti che la mancata redazione dell’inventario, a maggior ragione nell’ipotesi in cui si abbiano gravi discordanze nelle consistenze delle rimanenze finali e di quelle iniziali, è di per sé sola sufficiente a giustificare il ricorso all’accertamento col metodo induttivo, per la particolare importanza di tale documento nella fedele ricostruzione dei flussi economici dell’impresa (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 19658 del 21.09.2020).

Quanto alla documentazione extracontabile idonea a rivelare l’inattendibilità delle scritture contabili, occorre rimarcare che è stato ritenuto legittimo anche l’accertamento induttivo basato sui dati rinvenuti nel computer di una dipendente, atteso che tale scoperta inverte l’onere della prova in capo al contribuente, consentendo all’Amministrazione finanziaria di prescindere dal bilancio e dalle scritture contabili, nonché di utilizzare presunzioni semplicissime (cfr. Corte di Cassazione, ordinanza n. 20793 del 30.09.2020).

In tale contesto, si è altresì affermato come l’accertamento induttivo possa fondarsi anche sull’eventuale non corrispondenza tra il numero degli scontrini fiscali emessi e i pagamenti ricevuti tramite Pos e carte di credito, quando il contribuente non abbia prodotto gli scontrini mancanti, né abbia validamente giustificato la loro mancanza.

Nella specie, il dato oggettivo di pagamenti tramite Pos e carte di credito in numero superiore agli scontrini emessi va inquadrato e valutato come fatto noto determinante per il sorgere della presunzione di maggiori ricavi, con conseguente onere in capo al contribuente di provare, con idonea documentazione, l’assenza di qualsiasi discordanza e di giustificare con documenti fiscali tutti gli incassi rilevati dall’Ufficio (cfr. Cassazione, ordinanza n. 15586 del 22.07.2020).

Da ultimo, si rileva che l’omessa annotazione dei ricavi, oltre a legittimare una ricostruzione induttiva della capacità reddituale del contribuente, determina conseguenze anche in sede penale.

Infatti, sovente la Corte di Cassazione ha affermato che il giudice può legittimamente fondare il proprio convincimento circa la responsabilità dell’imputato per omessa annotazione di ricavi, sia sull’informativa della GdF che abbia fatto riferimento a percentuali di ricarico attraverso un’indagine sui dati di mercato, che sull’accertamento induttivo dell’imponibile operato dall’ufficio finanziario quando la contabilità imposta dalla legge non sia stata tenuta regolarmente (cfr. Cassazione, sentenza n. 26084 del 16.09.2020).