Detrazione Iva all’importazione sempre ammessa?
di Roberto CurcuNel corso del 2020 una risposta ad interpello prima, ed una recente ordinanza della Corte di Giustizia poi, hanno fatto un po’ di chiarezza circa la possibilità di portare in detrazione l’Iva all’importazione, nel particolare caso di merce importata senza la connessa acquisizione del diritto di proprietà della stessa, come avviene ad esempio nelle ipotesi di lavorazioni.
La risposta ad interpello 4/2020, ha il pregio di riassumere come funziona il meccanismo dell’importazione, chi è il soggetto obbligato al pagamento dell’Iva in dogana, e chi ha il titolo a portare in detrazione detta imposta.
In particolare, il debitore d’imposta (soggetto passivo dell’obbligazione doganale) è individuato dall’articolo 38 del Testo Unico delle Leggi Doganali, secondo cui “Al pagamento dell’imposta doganale sono obbligati il proprietario della merce … e, solidalmente, tutti coloro per conto dei quali la merce è stata importata od esportata“.
L’articolo 77 del Regolamento (UE) 952/2013 precisa che “Il debitore è il dichiarante. In caso di rappresentanza indiretta, è debitrice anche la persona per conto della quale è fatta la dichiarazione in dogana“. La disposizione comunitaria, quindi, individua il debitore dell’Iva in dogana nel dichiarante, il quale potrebbe essere anche un soggetto diverso dal proprietario della merce.
Individuato il debitore dell’imposta in dogana, la risposta ad interpello 4/2020 chiarisce altresì quale sia il soggetto che ha titolo a portare in detrazione tale imposta; in particolare, viene precisato che “l’unico soggetto legittimato a recuperare l’Iva assolta al momento dell’importazione è il destinatario delle merci impiegate nell’esercizio della propria attività che, previa registrazione della bolletta doganale nel registro degli acquisti di cui all’articolo 25 del decreto Iva, può detrarre l’imposta assolta”.
Nel caso di specie, si nega che l’Iva possa essere portata in detrazione dal rappresentante fiscale di un soggetto estero, il quale aveva assolto l’Iva su una vendita direttamente effettuata dal soggetto estero ad un cliente italiano, precisando, appunto, che il soggetto italiano sarebbe stato l’unico deputato a detrarre tale imposta.
Per giungere a tale conclusione, l’Agenzia richiama la risoluzione ministeriale 431345/1990, con la quale era stato precisato che unico soggetto a cui è concesso il diritto alla detrazione dell’Iva assolta in Dogana è “l’effettivo importatore, vale a dire al destinatario delle merci, quale risulta dalla fattura estera di acquisto”.
Tale datato pronunciamento ha trovato una conferma nella sentenza della Corte di Giustizia C-187/14, con la quale la Corte ha negato il diritto alla detrazione ad un trasportatore che si è reso responsabile del pagamento dell’Iva in dogana a seguito di una non corretta procedura di transito, e che quindi non è né l’importatore, né il proprietario delle merci, ma che ha soltanto garantito il trasporto e il trattamento doganale nell’ambito della sua attività di trasportatore di merci soggette all’Iva.
In tale sentenza la Corte evidenzia come l’Iva in dogana non è detraibile per il solo fatto di essere stata pagata, ma lo diventa solo quando detta imposta sia costitutiva del prezzo delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi effettate a valle dal soggetto passivo: in pratica, la base imponibile delle prestazioni di trasporto effettuate non tiene conto dell’eventuale Iva assolta in Dogana come responsabile della merce.
A livello comunitario, tale sentenza segue una linea Guida del Comitato Iva del 19 ottobre 2011, con la quale i propri membri, praticamente all’unanimità, hanno precisato che al soggetto che si è reso responsabile dell’Iva all’importazione e che è in possesso della bolletta doganale, il diritto alla detrazione può essere negato solo quando sussistano congiuntamente le seguenti condizioni: che tale soggetto non ha ottenuto il diritto di disporre del bene come proprietario, e che il costo dei beni importati non sia direttamente ed immediatamente collegato con la sua attività economica.
È d’obbligo ricordare che il concetto di “proprietario” ai fini della lettura di norme, giurisprudenza e prassi comunitaria, assume un significato diverso da quello formalistico del diritto civile di derivazione romana: ricordiamo infatti che, per la normativa Iva, si è in presenza di una “cessione di beni” ogni qual volta venga trasferito il “potere di disporre di un bene materiale come proprietario”: nel caso del leasing traslativo, ad esempio, è pacifico (a livello comunitario) che si è in presenza di una cessione di beni già nel momento di messa a disposizione del bene al locatario.
Anche se rese con motivazioni diverse, in base a tali principi devono essere confermate le posizioni assunte con la risoluzione 346/E/2008, con la quale era stato confermato il diritto alla detrazione dell’Iva assolta all’importazione di beni in dipendenza di un contratto di call-off stock, e con la risoluzione 96/E/2007, con la quale era stata confermata la detrazione per l’importazione definitiva di metalli in esecuzione di un contratto di prestito d’uso.
Quanto al fatto che, pur non essendo “proprietari” della merce importata, si goda comunque del diritto alla detrazione dell’Iva assolta in dogana, in quanto “riaddebitata” nel prezzo dei propri beni ceduti o dei servizi resi, richiamiamo ad esempio il caso di detrazione consentita al soggetto che importa beni noleggiati per concederli a sua volta in sub-noleggio (interpello 6/2019).
Fatte tali premesse, con l’Ordinanza 621/2019, la Corte di Giustizia Europea ha fatto proprio il parere del Comitato Iva, e ha statuito che è precluso il diritto alla detrazione dell’Iva a un importatore quando non è proprietario della merce e quando i costi di importazione a monte sono inesistenti o non compresi nel prezzo di specifiche transazioni a valle, o nel prezzo di beni e servizi forniti dal soggetto passivo in parte delle sue attività economiche.
Il caso si riferiva ad un soggetto comunitario che aveva importato a titolo definitivo della merce da sottoporre a lavorazione, che al termine della lavorazione era stata inviata in Paesi terzi o in altri Stati UE, nel caso in cui la merce, durante tutto tale iter, era rimasta di proprietà del committente della lavorazione, un soggetto extraUE.
In sostanza, nonostante senza il bene da lavorare il soggetto non avrebbe potuto fatturare i corrispettivi del proprio servizio, viene valorizzato il fatto che nel prezzo della lavorazione non è incluso il valore dei beni che sono stati importati.
Tale ordinanza rischia di creare non pochi problemi a quelle imprese che, dovendo fare lavorazioni, o anche semplicemente riparazioni, di merce di provenienza extraUE, anziché avvalersi del regime doganale del perfezionamento attivo, procedono con una importazione definitiva della merce da lavorare e una esportazione definitiva del prodotto lavorato.
Tale seconda modalità operativa risulta molto più snella da un punto di vista burocratico, e in mancanza di dazi è sempre stata considerata più conveniente della procedura di perfezionamento attivo, la quale consente sì di non pagare le imposte all’atto dell’introduzione della merce (dazi ed Iva), ma prevede una procedura autorizzativa preventiva e la prestazione di idonee garanzie.
Tuttavia, qualora sia ora in discussione il diritto del lavorante italiano di portare in detrazione l’Iva all’atto dell’importazione definitiva di prodotti da lavorare, le cose cambiano radicalmente.