L’abuso del diritto tra norma, prassi e giurisprudenza – I° parte
di Andrea RamoniLuigi A. M. RossiA norma del comma 1 all’articolo10-bis L. 212/2000, “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all’amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.
Nella contrapposizione tra forma e sostanza, è dunque possibile apprezzare come ricorra la fattispecie di abuso del diritto in presenza dei seguenti tre presupposti:
- realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;
- assenza di sostanza economica in una o più operazioni compiute;
- vantaggio fiscale come unico motivo per cui l’operazione viene posta in essere.
La mancanza di anche solo uno dei tre presupposti costitutivi, dunque, determina un giudizio di assenza di abusività (risoluzione 93/E/2016 e 101/E/2016).
Peraltro, come confermato dalla recente giurisprudenza di legittimità (Cassazione, Ordinanza n. 24893/2020) e da numerose risposte ad interpello rassegnate nel corso del 2020, solo in presenza dell’indebito vantaggio fiscale risulta necessario indagare sull’esistenza delle ulteriori due condizioni.
Cosa si intenda per “vantaggi fiscali indebiti” lo precisa la stessa norma, la quale fa riferimento a benefici, anche non immediati, che vengono realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario.
Il concetto di “operazioni prive di sostanza economica” rimanda invece a fatti, atti e contratti, anche tra loro collegati, inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali, che restano, dunque, l’unico obiettivo dell’operazione.
Sotto tale profilo, vengono valorizzati come abusivi l’incoerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell’utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato.
A contrario, il carattere abusivo di un’operazione va escluso quando, invece, sia individuabile una compresenza non marginale di ragioni extrafiscali che, pur non identificandosi in una immediata redditività dell’operazione stessa, sono in grado di rispondere ad esigenze di natura organizzativa.
Condizione necessaria (non sufficiente) affinché si verifichi un’ipotesi di abuso, è l’esistenza di almeno due differenti soluzioni fiscali, applicabili alla medesima fattispecie oggetto di valutazione, e la scelta del contribuente di indirizzarsi verso quella più vantaggiosa.
Al comma 3, la norma precisa infatti che “non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”.
Sotto tale profilo, alcune fattispecie ritenute esplicative dell’esistenza di valide ragioni extrafiscali sono state illustrate dal Consiglio Nazionale del Notariato, con lo Studio n.56-2016/T, al par. 4.2), tra le quali si ricorda:
i) l’attività di riorganizzazione aziendale, finalizzata alla gestione separata dei rami di cui si compone l’azienda mediante la loro distinta assegnazione ai singoli soci senza un conguaglio in danaro,
ii) gli insanabili dissidi tra soci, da documentare adeguatamente con specifico riferimento all’opportunità/necessità di provi rimedio (in senso conforme: Risposta ad interpello n.72/2020),
iii) il ricambio generazionale nell’impresa, in particolare nella scissione parziale proporzionale seguita dalla cessione (anche parziale) di quote della scissa e/o della beneficiaria oppure dalla donazione delle quote ai propri familiari.
Lo stesso Notariato, pur in assenza di un precetto legislativo in tal senso, suggerisce pertanto l’opportunità di evidenziare (e documentare) le valide ragioni non marginali, non solo nel corpo degli atti con cui l’operazione viene conclusa, ma anche nelle fasi della sua progettazione.
Il tutto indirizzato alla precostituzione della prova (nella sua accezione positiva) da fornire in caso di controllo, idonea a dimostrare la legittimità del risparmio di imposta, definibile come la possibilità di fruire liberamente della più vantaggiosa tra diverse e alternative soluzioni fiscali messe a disposizione dall’ordinamento.
Giova ricordare, infatti, che a norma del comma 4, “resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.
Saranno però valutazioni di natura fattuale a comprovare l’assenza di abuso, a nulla rilevando il formale rispetto delle norme fiscali.
All’abuso del diritto ha dato ampio spazio anche la circolare n. 1/2018 della Guardia di Finanza, che dedica all’argomento un intero capitolo (Vol. III, cap.9, pag.285 se seguenti).
Invero, anche nella parte iniziale del Volume I, vengono offerti alcuni interessanti spunti, primo tra cui la storica difficile delineazione dei suoi confini: “In tema di elusione fiscale, per anni non è stata disponibile una definizione normativamente codificata, né una nozione che potesse chiaramente circoscriverne, in maniera certa, l’ambito di applicazione. Pur tuttavia, i comportamenti elusivi si collocavano al confine tra il lecito e l’illecito ovvero, in ambito tributario, nello spazio intermedio tra il lecito risparmio d’imposta e l’evasione fiscale. L’elusione è una forma di risparmio che è conforme alla lettera ma non alla ratio delle norme tributarie. Con il proprio comportamento (elusivo) il contribuente, in luogo del trattamento fiscale appropriato applica (indebitamente) una normativa differente, al solo scopo di ottenere una tassazione più favorevole. In tal senso, elusione e abuso del diritto divengono nozioni simmetriche nel momento in cui una norma impositiva, sfavorevole, viene elusa mentre una norma impositiva, favorevole, viene abusivamente applicata” (cfr. Vol. I, pag.7).
Interessante osservare l’inciso secondo cui, rimarcata la portata generale della disposizione, che ante-riforma era collocata in una Legge settoriale quale il D.P.R. 600/1973, l’attuale previsione sia applicabile anche ai tributi non armonizzati e quindi anche al comparto Iva, e, quindi, non già alle sole imposte dirette.
La Guardia di Finanza si sofferma, in particolar modo, sul concetto di sostanza economica e valide ragioni extra-fiscali, che approfondiremo nella seconda parte del contributo.