Polizze vita impignorabili anche se presentano un rischio finanziario
di Luigi FerrajoliLe assicurazioni sulla vita non possono costituire oggetto di pignoramento, anche quando rappresentano un investimento caratterizzato da una componente di rischio finanziario.
Il percorso argomentativo che fa propendere per tale soluzione non può che trarre le mosse dall’articolo 1923 cod. civ., che sancisce il principio generale in base al quale, finché non vengono liquidate, “le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare”.
Le assicurazioni sulla vita, disciplinate dall’articolo 1919 cod. civ., vanno ovviamente ricomprese nel più ampio alveo dei contratti di assicurazione, di cui all’articolo 1882 cod. civ..
Tale norma statuisce che: “L’assicurazione è il contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga a rivalere l’assicurato, entro i limiti convenuti, del danno ad esso prodotto da un sinistro, ovvero a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana”.
Il contratto di assicurazione, tra cui quello di assicurazione sulla vita, è dunque caratterizzato dall’assunzione di un rischio demografico in capo all’assicuratore, derivante dall’obbligazione che quest’ultimo assume.
Qualora – in un’assicurazione sulla vita – la prestazione dell’assicuratore non sia di ammontare predeterminato o predeterminabile, dipendendo l’andamento della polizza da quello dei mercati finanziari, si determina uno spostamento in capo all’assicurato di parte del rischio di mercato in ordine all’importo che verrà liquidato al verificarsi dell’evento morte (come avviene, ad esempio, nel caso delle polizze c.d. “Unit Linked”, caratterizzate da una causa “mista”, previdenziale e finanziaria).
In presenza di siffatte circostanze, numerose pretese creditorie sono state, negli ultimi anni, volte ad ottenere il pignoramento di tali polizze, basandosi sull’assunto in relazione al quale nel caso in cui le assicurazioni abbiano anche natura di investimento finanziario, non garantendo nemmeno in parte la restituzione del capitale investito ed essendo talvolta prive di un reale rischio demografico per l’assicuratore, detti contratti non possano essere qualificati come assicurazioni sulla vita bensì vadano inquadrati come meri strumenti finanziari e siano quindi aggredibili in via esecutiva.
Le polizze Unit Linked sono state introdotte nel nostro ordinamento, in recepimento della Direttiva Comunitaria 79/267/CEE, con la L. 742/1986, la quale è stata in seguito abrogata dal D.Lgs. 174/1995, attuativo della successiva Direttiva 92/96/CEE, a sua volta abrogato dal D.Lgs. 209/2005 (Codice delle Assicurazioni Private), il quale, all’articolo 2, comma 1 lett. a), in ossequio alle menzionate Direttive Comunitarie, dispone che rientrano nel Ramo Vita III “le assicurazioni, di cui ai rami I [sulla durata della vita umana] e II [di nuzialità e di natalità], le cui prestazioni principali sono direttamente collegate al valore di quote di organismi di investimento collettivo del risparmio o di fondi interni ovvero a indici o ad altri valori di riferimento”.
La Corte di Giustizia Europea è più volte intervenuta per fare chiarezza sulla questione, dapprima con la sentenza relativa alla causa C-166/2011 – con cui aveva precisato che “i contratti detti «unit linked» oppure «collegati a fondi di investimento» sono normali in diritto delle assicurazioni” – ed in seguito con la sentenza del 31 maggio 2018, causa C-542/2016, nella quale ha confermato la sussistenza della qualifica di assicurazione sulla vita in capo alle polizze Unit Linked anche qualora non venga garantita la restituzione del capitale, in quanto esse, per loro espressa natura, possono comportare guadagni o perdite finanziarie all’assicurato o agli eredi in caso di suo decesso.
Secondo la Corte di Giustizia, infatti, un contratto è qualificabile come assicurazione sulla vita qualora in esso sussista la correlazione tra premio versato dall’assicurato e prestazione dell’assicuratore al verificarsi dell’evento oggetto del contratto, a nulla rilevando la valutazione in merito alla sussistenza tanto del rischio finanziario quanto di quello demografico.
La Corte di Cassazione si è espressa in senso contrario con la sentenza n. 6319/2019, affermando che un contratto di assicurazione carente del rischio demografico sia da ritenersi nullo per difetto di causa.
Tuttavia, tale pronuncia si pone in contrasto con quanto sancito dalla Corte di Giustizia e, di conseguenza, come recentemente affermato dal Tribunale di Bergamo nella sentenza n. 2426/2019, “considerato che le statuizioni della Corte di Giustizia Europea hanno […] operatività immediata negli ordinamenti interni, l’interpretazione proposta dalla Corte di Cassazione è da disattendere”, in favore di quella operata dal Giudice comunitario.
Se dunque le polizze caratterizzate da un rischio finanziario per l’assicurato ed eventualmente prive di quello demografico per l’assicuratore rientrano a tutti gli effetti nella categoria delle assicurazioni sulla vita, ne consegue che le stesse debbano considerarsi impignorabili ai sensi dell’articolo 1923 cod. civ.