Sotto il profilo tributario, infatti, è nota la norma agevolativa cosiddetta arrotondamento della piccola proprietà contadina, consistente in una riduzione delle imposte indirette che incidono sui trasferimenti di terreni agricoli.
L’agevolazione che, a decorrere dal 2010 è entrata a regime, è quella prevista dall’articolo 2, comma 4-bis, D.L. 194/2009, convertito con L. 25/2010, la quale prevede l’applicazione, agli atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti, delle imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa e dell’imposta catastale nella misura dell’1%.
Soggetti beneficiari sono i coltivatori diretti e gli Iap, iscritti nella gestione previdenziale e assistenziale.
Il perimetro soggettivo viene esteso, in ragione di quanto previsto dall’articolo 2, comma 4, D.Lgs. 99/2004, anche alle società di cui al precedente articolo 1, comma 3, che vengono equiparate agli Iap.
La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 3597/2021, confermando un filone giurisprudenziale ormai consolidato (sentenze n. 1251/2014 e n. 15157/2020), ha affermato che “In relazione all’ampia portata del D.L. 194/2009, articolo 2, comma 4 bis, convertito in L. 25/2010, che, con disposizione di natura non tassativa, individua i presupposti oggettivi delle agevolazioni previste per la piccola proprietà contadina, e avuto riguardo alla ratio legis sottesa alla disposizione, tra gli «atti di trasferimento a titolo oneroso di terreni e relative pertinenze, qualificati agricoli in base a strumenti urbanistici vigenti» deve includersi anche il trasferimento di beni conseguente a cessione di azienda.”.
Sempre la norma agevolativa prevede la decadenza “dalle agevolazioni se, prima che siano trascorsi cinque anni dalla stipula degli atti, alienano volontariamente i terreni ovvero cessano di coltivarli o di condurli
direttamente”.
In parziale deroga a quanto stabilito, l’articolo 11, comma 3, D.Lgs. 228/2001 prevede che non si decade, tra l’altro, qualora durante il quinquennio di monitoraggio, ferma restando la destinazione agricola, si procede alla vendita o concessione in godimento del fondo “a favore del coniuge, di parenti entro il terzo grado o di affini entro il secondo grado, che esercitano l’attività di imprenditore agricolo di cui all’articolo 2135 del codice civile”.
Parimenti, il precedente articolo 9, D.Lgs. 228/2001 prevede che “Ai soci delle società di persone esercenti attività agricole, in possesso della qualifica di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale, continuano ad essere riconosciuti e si applicano i diritti e le agevolazioni tributarie e creditizie stabiliti dalla normativa vigente a favore delle persone fisiche in possesso delle predette qualifiche”, ragion per cui, come confermato anche dalla recente ordinanza n. 3226/2021 “non incorre in alcuna decadenza, ai sensi del D.Lgs. n. 228 del 2001, articolo 9, il coltivatore diretto che prosegua la coltivazione del fondo in veste di socio di nuova società di persone esercente attività agricola, restando indifferente che la coltivazione avvenga nella diretta detenzione di persona fisica o mediata dal socio, qualunque sia la compagine sociale, sicché non si applicano i limiti previsti dal D.Lgs. n. 228 del 2001, articolo 11”.
Al contrario, come precisato sempre dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 3260/2021“L’acquirente di un fondo rustico che abbia esercitato il diritto di riscatto agrario, avvalendosi delle agevolazioni fiscali relative all’acquisto della piccola proprietà coltivatrice, il quale, successivamente, entro il quinquennio (dall’esercizio del diritto di riscatto) affitti il bene a terzi, decade dal trattamento agevolativo, indipendentemente dal fatto che l’esercizio del diritto di riscatto comporti la sostituzione del riscattante nella posizione dell’originario acquirente con effetto retroattivo, essendo necessario, ai sensi dell’articolo 7 della 1. 6 agosto 1954, n. 604, che egli provveda per cinque anni alla coltivazione diretta del fondo“.