I ricavi “appiattiti” sullo studio di settore legittimano l’accertamento
di Angelo GinexIn caso di accertamento fondato non solo sugli di studi di settore, ma anche su altri e prevalenti indici rivelatori dell’esistenza di un’operatività economica non dichiarata, è legittima, anche in assenza di contraddittorio con il contribuente, la rideterminazione dei ricavi congrui ma appiattiti sugli studi di settore, applicando al costo del venduto la percentuale di ricarico media aziendale rilevata all’esito della verifica fiscale.
È questo il principio sancito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 6474, depositata ieri 9 marzo, la quale consolida quel filone giurisprudenziale secondo cui il fatto che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni come, ad esempio, riscontrate irregolarità contabili o la ritenuta antieconomicità della gestione aziendale (cfr., Cass. Ord. 5.12.2019, n. 31814).
La fattispecie in esame prende le mosse dalla notifica di un avviso di accertamento analitico-induttivo, basato anche sugli studi di settore, ad un imprenditore esercente l’attività di bar con annessa rivendita di giornali, generi di monopolio e ricevitoria, con il quale l’amministrazione finanziaria aveva rettificato la dichiarazione da questi presentata ai fini Irpef, Irap e Iva in relazione al periodo di imposta 2006.
A seguito di impugnazione dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, in parziale accoglimento delle ragioni avanzate dal contribuente, il reddito di impresa rideterminato in via induttiva dall’Ufficio veniva ridotto del 70 per cento.
L’Agenzia delle entrate proponeva appello, ma la Commissione tributaria regionale della Lombardia, in riforma della sentenza gravata, annullava integralmente l’atto, assumendo che l’accertamento compiuto dall’amministrazione finanziaria, essendo basato sugli studi di settore, avrebbe dovuto essere condotto nel rispetto del principio del contraddittorio con il contribuente.
Inoltre, ad avviso dei giudici di appello, l’Ufficio aveva determinato la percentuale di ricarico utilizzando un campione merceologico contestato dal contribuente, perché acquisito senza un preventivo riscontro in magazzino, e ponendo a base del calcolo i dati del 2010, pur riferendosi l’accertamento all’anno 2006 ed escludendosi che la percentuale di ricarico rimanga costante nel tempo.
Pertanto, l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso in Cassazione affidato ad otto motivi, cui resisteva il contribuente con controricorso.
Tra gli altri motivi, si contestava la violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli 62-sexies L. 331/1993, 10 L. 146/1998 e 39 D.P.R. 600/1973, in quanto la CTR della Lombardia, muovendo dal presupposto che l’accertamento fosse basato sugli studi di settore, aveva affermato la nullità dell’atto impositivo per non essere stato preceduto da una fase di contraddittorio endoprocedimentale con il contribuente.
Ebbene, la Corte di Cassazione, ritenendo fondato tale motivo, ha evidenziato come nella specie non si fosse al cospetto di un avviso di accertamento basato prevalentemente sugli studi di settore, ma di un avviso di accertamento analitico-induttivo che aveva tratto soltanto spunto dagli studi di settore.
A tal proposito, è stato infatti evidenziato che: “Risulta … che l’Ufficio, avendo ritenuto sospetto il fatto che i ricavi dichiarati dal contribuente fossero risultati congrui, ma “appiattiti” sugli studi di settore, li ha rideterminati applicando al costo del venduto la percentuale di ricarico media aziendale rilevata all’esito della verifica”.
D’altronde, come già chiarito dalla Suprema Corte, il dato che l’accertamento sia basato sullo studio di settore non esclude che esso possa trovare anche altre giustificazioni (cfr., Cass. Ord. 5.12.2019, n. 31814; Cass. Ord. 19.03.2019, n. 15344).
Inoltre, è stato precisato che un accertamento tributario può dirsi basato su uno studio di settore soltanto quando trovi in esso il suo fondamento prevalente. Tanto non si verifica “quando, come nella specie, all’esito dell’accertamento mediante studi di settore siano emerse incongruenze nella contabilità di impresa che abbiano indotto l’Ente accertatore ad approfondire l’analisi, riscoprendo altri, e prevalenti, indici rivelatori dell’esistenza di una operatività economica non dichiarata”.
Di qui, pertanto, l’affermata possibilità di procedere, anche in assenza di contraddittorio con il contribuente, alla rideterminazione dei ricavi congrui ma “appiattiti” sugli studi di settore, applicando al costo del venduto la percentuale di ricarico media aziendale rilevata all’esito della verifica fiscale.
Per quanto concerne quest’ultimo punto, i giudici di vertice hanno altresì richiamato l’orientamento secondo cui le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi (cfr., Cass. Sent. 29.12.2016, n. 27330).
Sulla scorta di tali argomentazioni, la Corte di Cassazione ha quindi accolto il ricorso del Fisco, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla CTR della Lombardia in diversa composizione.