21 Aprile 2021

La “misurazione” delle nuove attività sportive nella Riforma dello Sport – I° parte

di Luca Caramaschi
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La legge delega di Riforma dello Sport (L. 86/2019), così come attuata di recente dai cinque decreti delegati da essa previsti (e successivamente rinviata nella sua efficacia al 2022 dall’articolo 30 Decreto Sostegni, attualmente in corso di conversione in legge), introduce un nuovo paradigma nel valutare le attività esercitabili dalle organizzazioni sportive dilettantistiche, con un modello che si avvicina a quello introdotto con la Riforma del Terzo Settore; settore nel quale le organizzazioni sportive potranno comunque entrare a far parte in ragione della esplicita previsione, tra le attività di interesse generale dei nuovi Ets (e anche delle imprese sociali) della “organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche”.

Se, quindi, l’attività “sportiva” (vedremo in quale accezione) rappresenta, tanto nella disciplina attuale quanto in quella futura, l’attività caratterizzante l’organismo che intende qualificarsi come sportivo dilettantistico, cambiano con la Riforma dello sport i criteri per valutare, soprattutto dal versante fiscale, sia l’attività principale ma soprattutto quelle attività che nel nuovo impianto normativo vengono definite “secondarie e strumentali” rispetto all’attività esercitata in modo prevalente.

Nel descritto scenario si dovrà quindi comprendere come considerare le attività che l’impianto normativo attuale prevede, e come queste si pongano in rapporto alle nuove definizioni recate dalla riforma.

Ci riferiamo alle attività commerciali svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali dell’ente o che, comunque, si pongono in un rapporto di stretta connessione con le finalità dell’ente medesimo rispetto a quelle per le quali detto rapporto di connessione non risulta individuato.

Distinzione che, come è noto, secondo quanto ribadito anche dall’Agenzia delle entrate con la circolare 18/E/2018, determina un radicale e diverso trattamento fiscale ad esse applicabile.

Inoltre, occorre riflettere bene su cosa intendere per attività sportiva “principale” dell’organizzazione sportiva dilettantistica: se fino ad ora si è ritenuto che la stessa fosse fiscalmente da annoverarsi – in particolare per le associazioni sportive dilettantistiche (le cosiddette Asd) – tra quelle svolte con modalità non commerciali proprio in ragione della natura non commerciale dell’ente, potrà la nuova impostazione assegnata dalla Riforma accogliere nel nuovo Registro delle società e associazioni sportive anche sodalizi sportivi dilettantistici che, in ragione della loro natura commerciale, svolgono l’attività sportiva con modalità esclusivamente commerciali pur nel rispetto del divieto di lucro soggettivo imposto anche dalle nuove disposizioni?

In caso di risposta affermativa, quali saranno le agevolazioni per essi applicabili?

Un riconoscimento in questa direzione, per la verità, la precedente riforma (se così può chiamarsi) varata con la L. 289/2002, lo fece con riferimento alle società di capitali sportive dilettantistiche (le cosiddette Ssd), soggetti commerciali per natura  alle quali risultano comunque applicabili taluni benefici e agevolazioni proprie del mondo associativo sportivo (tra tutte, la decommercializzazione dei proventi derivanti da corrispettivi specifici corrisposti da soci e tesserati e l’applicazione del regime forfettario di cui alla L. 398/1991 in relazione ai proventi derivanti da attività commerciali ritenute connesse agli scopi istituzionali).

Peraltro, con tutte le difficoltà di non riuscire fiscalmente ad individuare una vera e propria “attività istituzionale” in capo alle Ssd, tipica invece del comparto degli enti non commerciali.

Difficoltà ribadita anche nelle affermazioni contenute nella circolare 18/E/2018 con la quale l’Agenzia delle entrate, ritornando sui chiarimenti forniti con la circolare 21/E/2003, ha precisato come l’applicazione alle Ssd dell’agevolazione contemplata dal comma 3 dell’articolo 148 Tuir (decommercializzazione dei corrispettivi specifici) deve intendersi come “eccezionale” rispetto al generale divieto di estensione analogica del sistema di agevolazioni previsto appositamente dagli articoli 143 e seguenti del Tuir per gli enti non commerciali di tipo associativo.

Situazioni, quelle appena descritte che, probabilmente, sono il risultato della impostazione sinora adottata dal legislatore che ha da sempre focalizzato l’attenzione sulla natura “non commerciale” del soggetto che svolge l’attività sportiva dilettantistica (chi lo fa), al contrario della riforma dello sport che pare invece porre l’attenzione sulle modalità con le quali viene svolta l’attività sportiva stessa (come lo fa).

Cambio di impostazione ben visibile nei decreti delegati della riforma (si vedano a tal proposito i commi 3 e 4 dell’articolo 8 D.Lgs. 36/2021) che, in relazione ai sodalizi sportivi costituiti in forma societaria (le Ssd), prevedono una parziale deroga al divieto di lucro soggettivo, permettendo una parziale distribuzione di utili nonché il rimborso ai soci della quota di capitale originariamente versato.

L’ammettere quindi che anche le attività “istituzionali” poste in essere dai sodalizi sportivi dilettantistici (non solo per le Ssd ma anche per le Asd) possano essere svolte con modalità prevalentemente commerciali, richiama la necessità di operare una chiara distinzione con quelle attività che, pure commerciali, vengono ritenute attività “diverse da quelle principali” in quanto secondarie e strumentali rispetto alle attività istituzionali.

E questo a maggior ragione se, come pare per la riforma del terzo settore, alle dimensioni delle attività secondarie e strumentali verrà assegnata la “funzione” di stabilire l’inclusione o l’esclusione nel nuovo registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche.