27 Aprile 2021

Perché non rilanciare le agevolazioni per il rimboschimento?

di Luigi Scappini
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L’Unione Europea, nella Comunicazione COM (2020) 381 del maggio 2020, nota come “Farm to fork”, ha reso noto che il settore agricolo è responsabile del 10,3% delle emissioni di gas a effetto serra.

Notizia di pochi giorni fa è l’accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio UE di ridurre, entro il 2030, le emissioni nocive di almeno il 55% rispetto ai dati del 1990.

Sicuramente l’agricoltura, e in particolare la selvicoltura, può contribuire al perseguimento di tale ambizioso obiettivo; tuttavia, un recente studio dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha evidenziato come nel 2019 si sia assistito, in ragione di una “corsa” alle costruzioni residenziali, produttive nonché all’implementazione della rete viaria, a un consumo di suolo pari a circa 5.200 ettari in precedenza naturale.

Il dato è in linea con il biennio precedente e nettamente al di sotto di quanto fatto segnare dal periodo post bellico al 2006 (oltre 20 mila ettari annui) ma è significativo di una determinata tendenza al consumo del territorio e alla riduzione delle aree coltivate.

A questa contrazione delle SAU, si associa una cronica difficoltà al ricambio generazionale in agricoltura.

Per controbattere tale tendenza il Legislatore periodicamente introduce alcune norme incentivanti, da un lato, l’inserimento dei giovani in agricoltura e, dall’altro, lo sviluppo di attività che seppur secondarie e meno performanti a breve termine, sono sempre portanti del sistema ambiente visto nel suo complesso.

Ecco che allora deve essere accolta positivamente la previsione di cui all’articolo 51, comma 1-ter, D.L. 104/2020, introdotto in sede di conversione in legge, che incentivava l’acquisto di terreni agricoli destinati al rimboschimento attraverso l’applicazione dell’imposta di registro in misura pari all’1%.

La misura non rappresenta sicuramente una novità, infatti, in passato, prima dello riduzione delle agevolazioni previste per il comparto agricolo, vigeva la c.d. forestazione, consistente nella possibilità, da parte delle cooperative sociali, intese come quelle agricole, e le società forestali, a prescindere dalla forma societaria, personale o capitalistica, costituite per una durata non inferiore a 18 anni, di fruire dell’applicazione dell’imposta di registro e delle ipocatastali in misura fissa in merito, tra gli altri, agli atti di acquisto in proprietà di fondi rustici idonei ad aumentare l’efficienza dell’azienda e il relativo reddito attraverso il miglioramento quantitativo e qualitativo delle colture forestali (articolo  7,  comma  4, lettera b, L. 984/1977).

La novità del Decreto Agosto, tuttavia, è stata quella di estendere l’applicazione dell’imposta di registro in misura pari all’1%, in luogo dell’ordinario 15%, a tutti i soggetti e non limitatamente a quelli operanti in agricoltura, con la precisazione, contenuta nel comma 1-quater, che nel caso di acquisto da parte di soggetti diversi dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali, l’imposta non può essere inferiore a 1.000 euro.

A garanzia della validità dell’investimento, il comma 1-quinquies, precisa che in atto l’acquirente deve dichiarare la destinazione a imboschimento e l’impegno a mantenere tale destinazione d’uso per un periodo non inferiore a 30 anni e a procedere alla piantumazione entro 12 mesi dall’acquisto, con una densità non inferiore a 250 alberi per ettaro. A presidio di eventuali intenti elusivi, viene previsto che, in caso di mancato rispetto delle suddette condizioni, le imposte sono dovute in misura ordinaria, con l’aggiunta di una sovrattassa pari al 30% delle stesse imposte.

Lo scopo dichiarato era quello di contenere, da un lato, l’inquinamento e, dall’altro, il dissesto idrogeologico.

Incentivare la silvicoltura nella sua accezione agronomica di attività tecnica esercitata con il fine di ottenere il più conveniente prodotto del bosco entro cicli regolari di tempo e non come mera attività di estrazione del legno dal bosco, rappresenterebbe un primo passo verso l’obiettivo prefissato dall’Unione Europea nei giorni scorsi.

A questo, tuttavia, si dovrebbe aggiungere la possibilità, come già detto altre volte, di considerare tale attività di forestazione/selvicoltura come produttiva di quote di emissione, i c.d. VERs, non essendo sufficiente la sola ricomprensione nelle attività produttive di reddito agrario.

Questo non vuol dire che tutte le attività di selvicoltura dovrebbero essere incentivate in tal modo, ma sicuramente quelle relative a piante idonee, previa adeguate verifiche scientifiche in tal senso, a “sequestrare” CO2.

A ben vedere, del resto, il Legislatore ha sempre ritenuto di incentivare agroenergie quali elementi sostitutivi della produzione di energia “sporca” senza espandere tale concetto anche a quelle attività tipiche dell’agricoltura, in quanto espressamente previste dal codice civile, che silenziosamente contribuiscono a mantenere green il nostro pianeta.