Avvocato: indeducibile il canone di locazione troppo alto
di Angelo GinexL’avvocato non può dedurre il costo sostenuto per il canone di locazione dello studio professionale qualora sia antieconomico e quindi eccessivamente alto, mentre è soggetto all’Irap laddove, pur non avendo dipendenti, presti la propria attività professionale in due studi diversi. Sono queste le conclusioni rassegnate dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 11086, depositata ieri 27 aprile.
La fattispecie disaminata dai giudici di vertice prende le mosse da un avviso di accertamento ai fini Irap, Irpef ed Iva per l’anno 2005 emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di un avvocato. Dalla documentazione emergeva che le prestazioni del professionista risultavano fatturate per euro 320.000,00 ad uno studio legale associato di Milano e per euro 5.942,02 a terzi.
Inoltre, emergevano costi pari ad euro 243.000,00 oltre Iva per l’utilizzo di un immobile adibito a studio fatturati dallo studio legale associato e ad ulteriori euro 50.000,00 oltre Iva relativi al periodo dal 10 novembre al 31 dicembre 2005 fatturati da una S.r.l. locatrice.
Detto atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale respingeva il ricorso del contribuente. La Commissione tributaria regionale della Lombardia confermava la sentenza di primo grado e rigettava l’appello dell’avvocato poiché riteneva che la sua attività professionale fosse svolta quasi esclusivamente nell’ambito dello studio legale associato e non presso l’altro immobile di cui era locatario, mentre le spese oggetto di contestazione non erano inerenti ed erano elevate, tanto da non costituire il minimo necessario per l’esercizio dell’attività.
Così, al fine di ottenere l’annullamento di quest’ultima sentenza, il professionista proponeva ricorso in Cassazione lamentando, tra gli altri motivi, l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli articoli 109, comma 5, D.P.R. 917/1986, 2 D.Lgs. 446/1997 e 2697 cod. civ.
In particolare, il ricorrente evidenziava che le spese sostenute dal contribuente erano riferibili, in parte, all’acquisto di mobili per l’ufficio e, in parte, al canone di locazione di un posto auto, oltre che dell’immobile “adibito a studio” e che ben poteva svolgere la propria attività a favore della struttura professionale utilizzando tale immobile, motivo per cui i costi sarebbero deducibili trattandosi di spese connesse all’attività esercitata.
Inoltre il professionista sottolineava che il mero richiamo all’ammontare delle spese sostenute non potesse essere sufficiente al fine di configurare una autonoma organizzazione, posto che si trattasse di costi sostenuti per il canone di locazione dello studio e non per dipendenti e collaboratori, e quindi il giudice dell’appello aveva errato nel ritenere il contribuente assoggettabile all’Irap.
Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le suddette doglianze, osservando innanzitutto che l’Agenzia delle entrate ha contestato l’antieconomicità e la non congruità del costo, in quanto il canone mensile del contratto di locazione era stato stipulato per una somma abbastanza alta (euro 50.000,00) se riferito al limitato periodo di tempo dal 10 novembre al 21 dicembre 2005, peraltro con un contratto concluso in data 5 dicembre dello stesso anno e con decorrenza dalla data anteriore.
Condividendo il ragionamento dei giudici di secondo grado, la Corte ha sottolineato che il professionista esercitava l’attività di avvocato quasi esclusivamente per conto dello studio professionale associato, con prestazioni da lui fatturate (euro 320.000,00) di gran lunga superiori a quelle residue (che ammontavano ad euro 5.942,02). Per queste ragioni, secondo la Cassazione, i costi per l’utilizzo dello studio di cui l’avvocato era locatario non erano inerenti all’attività professionale, proprio in virtù degli importi esorbitanti rispetto alle minime prestazioni rese nei confronti dei terzi.
In relazione al presupposto impositivo dell’Irap, la Cassazione ha affermato che spetta (solo) ai giudici di appello l’accertamento (insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato), della sussistenza del requisito dell’autonoma organizzazione. Pertanto, la Suprema Corte, dopo aver rammentato le condizioni affinché ricorra il requisito dell’autonoma organizzazione ai sensi dell’articolo 2 D.Lgs. 446/1997 (cfr., SS.UU. 10.05.2016, n. 9451), si è soffermata sulla fattispecie della locazione dello studio professionale da parte dell’avvocato.
A parere della Corte, contrariamente a quanto eccepito dal ricorrente, il ragionamento dei giudici di secondo grado è corretto poiché «è pacifico, in atti, che il contribuente abbia utilizzato per la sua attività professionale due studi, dando così dimostrazione della sussistenza dell’autonoma organizzazione».
Nella specie, si è ritenuto che l’autonoma organizzazione risultasse sia dalle somme esorbitanti erogate per il pagamento dei canoni di locazione dell’anno 2005, sia dall’utilizzo di due studi da parte del contribuente: uno è stato utilizzato nell’ambito delle prestazioni rese allo studio legale associato cui il ricorrente partecipava direttamente e l’altro è stato utilizzato in via esclusiva dallo stesso.
In definitiva, quindi, l’utilizzo di due studi, ed in particolare di uno con costi di locazione per circa euro 300.000,00 all’anno, non può essere ritenuto, secondo i giudici di vertice, una spesa rientrante nel “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività di avvocato.
28 Aprile 2021 a 14:20
sentenza perfettamente giusta, bisognerebbe controllare di più le spese degli studi legali e soprattutto gli incassi.