Processo tributario: il giudice non può supplire alle carenze istruttorie delle parti
di Angelo GinexNel processo tributario, retto dal principio misto acquisitivo-dispositivo, l’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 546/1992 attribuisce alle commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di “soccorso istruttorio” che, ove compiutamente motivato, può essere esercitato non per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata.
È questo il principio di diritto ribadito dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 12383 depositata ieri 11 maggio, la quale consolida l’orientamento nomofilattico in ossequio alle statuizioni della Corte Costituzionale circa la disciplina dell’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 546/1992, ma enuncia anche interessanti principi circa l’acquisizione di un PVC.
Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine dalla notifica ad una s.r.l. di un avviso di accertamento in materia di IVA ed imposte dirette. Tale atto veniva impugnato dinanzi alla competente Commissione tributaria provinciale, la quale rigettava il ricorso. Anche i giudici di appello respingevano la doglianza relativa all’illegittimo utilizzo a fini probatori da parte dei giudici di primo grado del PVC emesso a carico della società.
Pertanto, la contribuente proponeva ricorso in Cassazione deducendo la violazione del principio dispositivo di cui all’articolo 7, comma 1, D.Lgs. 546/1992, poiché la Commissione tributaria regionale aveva errato nel ritenere corretto l’utilizzo a fini probatori (da parte sua ed ancor prima da parte della CTP) del PVC a carico della contribuente, ad essa notificato, richiamato nell’avviso di accertamento, ma prodotto in giudizio dall’Amministrazione Finanziaria solo dopo la richiesta provenuta dalla CTR.
Ebbene, i giudici di vertice, ripercorrendo l’approdo ermeneutico di recenti sentenze sull’interpretazione del citato articolo 7 e rammentando la natura dispositiva del processo tributario, hanno sottolineato innanzitutto che: «il potere di indagine autonoma del Giudice tributario è esercitabile, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, quando gli elementi di giudizio già in atti o acquisiti non siano sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata».
Sottolineando la necessità di situazioni di oggettiva incertezza affinché, nel corso del processo, il giudice tributario possa disporre d’ufficio l’acquisizione di mezzi di prova, la Cassazione ha puntualizzato si tratti di un potere istruttorio “in funzione integrativa e non sostitutiva degli elementi di giudizio”, che non può sopperire alle carenze istruttorie delle parti (cfr., Cass. sent. 20.01.2016, n. 955).
I giudici di vertice hanno affermato che ogni situazione va distinta in base alle singole fattispecie concrete.
In un caso analogo a quello di specie, la Corte ha ritenuto legittimo l’ordine da parte della CTR nei confronti dell’Amministrazione di produrre il processo verbale, affermando che, nel processo tributario, alle Commissioni tributarie è attribuito un potere di indagine da esercitare nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, qualora ritengano non sufficienti gli elementi di giudizio risultanti dagli atti o già acquisiti (cfr., Cass. ord. 31.07.2020, n. 16476; Cass. sent. 21.02.2014 n. 4161).
È stato precisato, infatti, che «qualora nel giudizio siano già presenti indizi sugli stessi fatti che una parte intende provare, l’ordine di integrazione probatoria da parte del Giudice di merito è possibile, a maggior ragione se il processo verbale sia già conosciuto al contribuente, perché in tal caso l’ordine del giudice non introduce nel processo alcun elemento nuovo».
Riprendendo quanto affermato in alcune recenti pronunce, la Cassazione ha rammentato che il potere di “soccorso istruttorio”, costituendo una deroga al principio dispositivo, deve essere compiutamente motivato, previa delibazione della commissione tributaria, non potendo comunque sopperire a carenze o inattività delle parti (cfr., Cass. sent. 23.12.2019, n. 34393). In buona sostanza, il giudice deve limitarsi a ristabilire quell’asimmetria fisiologica propria del processo tributario che vede, da una parte, la parte pubblica, autrice e custode degli atti, e, dall’altra, la parte privata, sfornita di poteri autoritativi e incapace di produrre atti dotati di esecutorietà.
Infine, la Suprema Corte, con specifico riferimento all’esercizio del potere in esame in merito al PVC, ha ritenuto doversi distinguere innanzitutto l’ipotesi del PVC non allegato, seppur richiamato dal provvedimento impositivo: nel caso in cui siano riportati alcuni elementi la Commissione, con onere motivazionale, deve verificare se i detti elementi integrino indizi, ma non tali da condurre ad una decisione ragionata; mentre nel caso in cui non siano riportate parti del PVC dal provvedimento, il giudice dovrà verificare se il semplice richiamo abbia integrato un indizio.
Invece, nell’ipotesi di PVC allegato al provvedimento impositivo, ma non prodotto in giudizio, la Commissione potrà disporre l’acquisizione senza che ciò implichi esercizio dei poteri di integrazione probatoria di cui al citato articolo 7, comma 1, trattandosi di attività preordinata alla completezza di un atto (quello impositivo) già agli atti processuali, nonché funzionale all’integrazione del contraddittorio su esso e compatibile con la natura di impugnazione-merito propria del processo tributario.
Quanto al caso di specie, in cui vi era un PVC richiamato dall’avviso di accertamento, a parere della Cassazione, i giudici di secondo grado non si sono attenuti a tali principi.
Sulla base di tali argomentazioni, pertanto, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza in relazione ai motivi accolti, disponendo il rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia.