Agriturismo sempre più “regionalizzato”
di Alberto RocchiLuigi ScappiniL’articolo 68 D.L. 73/2021, convertito con L. 106/2021, il c.d. Decreto Sostegni-bis, ha apportato importanti modifiche alla disciplina dell’agriturismo contenuta nella L. 96/2006 (la c.d. Legge quadro); infatti, il Legislatore è intervenuto nel cuore della normativa andando a modificare le regole sul rapporto di connessione con l’attività agricola.
Prima di esaminare il contenuto e le conseguenze della nuova norma, è utile ripercorrere brevemente le tappe che hanno portato all’attuale quadro normativo.
L’agriturismo in Italia è un fenomeno relativamente recente che prende le mosse verso la metà degli anni ‘70, soprattutto in Trentino, sulla scia di iniziative analoghe che andavano sviluppandosi in Francia e in Austria, dove da tempo esisteva già una normativa.
La prima Autorità italiana che ha sentito l’esigenza di intervenire in materia è stata la Provincia autonoma di Trento, che il 20 marzo 1973 ha emanato la prima norma sull’agriturismo, la n. 11 (ora abrogata).
Successivamente anche nel resto d’Italia le aziende agricole iniziarono a implementare servizi sempre più organizzati di ospitalità che andavano via via assumendo caratteristiche inequivocabilmente imprenditoriali.
Il Legislatore nazionale, tuttavia, non intervenne subito ma lasciò che fossero le Autorità locali a stabilire le regole basilari, nella convinzione che le peculiarità dei territori fossero fondamentali per definire i caratteri e circoscrivere l’operatività del turismo rurale.
Ecco perché la normativa sull’agriturismo ha da sempre questo imprinting “regionalizzato”, che la caratterizza sin dagli albori.
Tuttavia, l’eterogeneità delle normative locali, priva di un fulcro regolamentare centralizzato, avrebbe condotto a delle disparità finanche discriminatorie: così, al termine di un lungo percorso, il Legislatore varò la Legge quadro 730/1985 che definiva l’attività, ne enunciava i principi andando a costituire in definitiva un quadro di riferimento comune per le diverse leggi regionali.
Successivamente, il percorso normativo trovò una seconda tappa fondamentale con la riforma dell’articolo 2135 cod civ. a opera della Legge di Orientamento in agricoltura del 2001.
Nel nuovo testo della norma civilistica, le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità, assurgono definitivamente al rango di “attività connesse” all’agricoltura quali appendice estrema all’interno del perimetro della “multifunzione” cui l’imprenditore agricolo è ormai definitivamente vocato.
Tuttavia, a una lettura attenta dell’articolo 2135 cod. civ., il rapporto di connessione nell’agriturismo non è declinato in termini quantitativi, come avviene nelle altre attività connesse, dove si richiede una “prevalenza” dell’attività agricola di base della quale il Legislatore si preoccupa di delineare i limiti quantitativi.
Per le attività di ricezione e ospitalità, sebbene esse siano attratte nell’orbita dell’impresa agricola (“ivi comprese”, dice la norma), la definizione della prevalenza è demandata alla legge: “come definite dalla legge”, dice la norma, ossia come definite dalle normative locali.
Quindi la regionalizzazione, che costituisce il carattere genetico della normativa agrituristica, viene mantenuta anche nella riforma del 2001.
Un terzo passaggio fondamentale si concretizza infine nel 2006, quando viene riscritta la legge quadro nazionale ad opera della L.96/2006.
Il Legislatore ha sentito l’esigenza di intervenire profondamente nel settore, da un lato per circoscrivere meglio i confini del turismo rurale ed evitare che le troppe aperture contenute nelle norme locali sconfinassero nell’arbitrio; dall’altro lato, ha dovuto riconoscere che una serie di attività, all’inizio ritenute estranee all’agriturismo ma da anni praticate di fatto, fossero da ritenersi legittime.
Il risultato è stato quello di partorire una norma che cerca di bilanciare esigenze diverse e alla fine trova un precario equilibrio.
Fulcro fondamentale di questa normativa è l’articolo 4, il quale rimanda alle Regioni il compito di stabilire criteri, limiti e obblighi amministrativi per lo svolgimento dell’attività agrituristica nell’intento, ancora una volta, di adattare le regole ai diversi contesti rurali e socio economici del Paese.
Pertanto alle Regioni e alle Provincie Autonome spetta il compito di fissare i requisiti affinché l’attività agricola non perda il carattere di connessione di cui all’articolo 2135 cod. civ. il quale, tuttavia, resta il caposaldo originario con la regola della subalternità dell’attività connessa agrituristica (come di ogni attività connessa) all’attività agricola principale.
Lo scopo dell’azienda agricola è l’esercizio dell’attività agricola ex se, ossia coltivazione, allevamento, selvicoltura; le attività connesse, tra cui l’agriturismo, servono ad allargare le possibilità reddituali dell’agricoltore ma sempre nell’ottica della centralità dell’agricoltura.
È evidente però che la ricerca di parametri oggettivi è imprescindibile per costruire certezze giuridiche: per questo la Legge quadro prevedeva il criterio della prevalenza del rapporto tempo-lavoro, sulla base del quale sono state costruite tutte le leggi regionali.
Qui la svolta: il Decreto Sostegni-bis interviene direttamente nella L. 96/2006, espungendo dal secondo comma dell’articolo 4 il riferimento al tempo lavoro dedicato all’attività agricola rispetto a quella agrituristica.
Una nuova rivoluzione dunque sta per investire il mondo agricolo in quanto, da questo momento in poi, le valutazioni delle leggi regionali non sono più ancorate a nessun parametro oggettivo nella valutazione della prevalenza dell’agricoltura sull’agriturismo.
Esse potranno quindi liberamente muoversi nella ricerca di parametri di connessione: ma con quali limiti?
Naturalmente il punto di riferimento supremo resta l’articolo 2135 cod. civ., con la sua definizione di “attività connessa” nel cui novero si colloca l’agriturismo, che si porrà sempre in rapporto di subalternità strumentale rispetto all’attività agricola.
La misurazione di questa connessione non passerà più, però, attraverso alcun parametro: non il fatturato, non il reddito e, infine, nemmeno il tempo lavoro.
Quali conseguenze produrrà la normativa nell’immediato? Riteniamo che le norme regionali non necessariamente necessitino di una revisione a seguito dell’emanazione del Decreto.
Pertanto, le regole già impartite, e fondate sul criterio del tempo lavoro, manterranno la propria validità. Staremo a vedere se e quando le Regioni decideranno di adeguarsi alla legge quadro nazionale.