Riserva di rivalutazione: luci e ombre sul calcolo della base imponibile
di Alessandro CarlesimoContinua a tenere banco la questione attinente alle modalità di calcolo della base imponibile da assumere ai fini dell’affrancamento delle riserve di rivalutazione in sospensione d’imposta, sebbene la Corte di Cassazione si sia pronunciata in più occasioni sul punto.
Le incertezze “rivivono” a seguito della recente risposta all’interpello n. 539/2021, nella quale l’Amministrazione sembra non condividere le conclusioni della Suprema Corte, confermando invece la linea interpretativa tenuta nei precedenti documenti di prassi.
Il tema, in particolare, riguarda trattamento del saldo attivo di rivalutazione confluito nel patrimonio netto a fronte dell’operazione rivalutazione dei beni d’ impresa.
Detto importo, ottenuto per differenza tra incremento del valore netto contabile dei beni ed eventuale imposta sostitutiva dovuta, è infatti imputato nel passivo dello stato patrimoniale (direttamente al capitale ovvero accantonato in una speciale riserva designata con riferimento alla legge in esame), con vincolo fiscale alla distribuzione del corrispondente importo ai soci o ai partecipanti della società.
In particolare, il regime di sospensione d’imposta opera nel caso in cui l’impresa decida di optare per la cd. rivalutazione onerosa (con riconoscimento degli effetti fiscali), nel qual caso, ai sensi dell’articolo 13, commi 3 e 4, L. 342/2000, le riserve vincolate oggetto di distribuzione concorrono a formare la base imponibile ai fini delle imposte sul reddito dell’impresa.
Parimenti, secondo l’articolo 110, comma 8, D.L. 104/2020, in caso di riallineamento è necessario apporre uno specifico vincolo di sospensione d’imposta ai fini fiscali su una o più riserve di patrimonio netto già esistenti, per un importo corrispondente ai differenziali allineati. Anche in questa ipotesi, l’atto di distribuzione del saldo attivo ai soci o ai partecipanti comporta l’emersione di materia imponibile in capo alla società (oltre che ai percipienti).
Dunque, in presenza dell’opzione per il riconoscimento fiscale dei plusvalori, ogni forma di distribuzione del saldo attivo di rivalutazione genera l’emersione di un imponibile, calcolato in misura pari al saldo attivo al lordo dell’imposta sostitutiva del 3%.
La tassazione, tuttavia, non opera in caso di affrancamento della riserva in sospensione d’imposta.
Tale possibilità è stata infatti riproposta dal legislatore nel cd. Decreto Agosto, nel cui testo è stata inclusa la possibilità di svincolare le riserve iscritte mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva del 10%, da corrispondersi in tre rate annuali di pari importo.
L’istituto dell’affrancamento determina la cessazione del regime di sospensione d’imposta, trasformando le riserve di rivalutazione/riallineamento in riserve di utili liberamente distribuibili ai soci.
Il ricorso all’affrancamento, dunque, fa si che l’attribuzione ai soci del saldo attivo non generi alcun prelievo fiscale aggiuntivo in capo alla società.
Da qui la necessità di individuare la base imponibile rilevante ai fini dell’imposta sostitutiva dell’affrancamento (aliquota 10%), tenuto conto del fatto che le somme effettivamente disponibili per la distribuzione corrispondono al saldo allocato nella riserva, contabilizzato al netto dell’imposta sostitutiva sostenuta per il riconoscimento fiscale dei cespiti rivalutati o riallineati (pari al 3%).
Secondo il costante orientamento dell’Agenzia delle Entrate, la base imponibile rilevante ai fini dell’imposta sostitutiva sull’affrancamento coincide con il saldo attivo di rivalutazione iscritto nel passivo, aumentato dell’imposta sostitutiva dovuta ai fini del riconoscimento fiscale dei plusvalori, pari al 3%.
Nella Risposta all’interpello n. 539/2021 gli Uffici non si sono discostati dalla linea interpretativa tenuta nei precedenti documenti di prassi (circolare 14/E/2017; circolare 11/E/2009; circolare 18/E/2006), confermando appunto che l’imponibile su cui applicare l’imposta sostitutiva debba essere assunto, ai fini dell’affrancamento, al lordo dell’imposta sostitutiva versata per il riconoscimento fiscale degli effetti della rivalutazione, a prescindere dal fatto che il saldo attivo venga esposto in bilancio al netto dell’imposta sostitutiva.
La suddetta impostazione poggia sull’applicazione analogica dell’articolo 13, comma 3, L. 342/2000, il quale enuncia il regime applicabile in caso di assegnazione ai soci delle riserve non affrancate, prevedendo testualmente che “…le somme attribuite ai soci o partecipanti, aumentate dell’imposta sostitutiva corrispondente all’ammontare distribuito, concorrono a formare il reddito imponibile della società”.
Più in dettaglio, l’Agenzia motiva l’applicazione di questo criterio argomentando che le stesse conclusioni “devono ritenersi applicabili anche all’opzione per l’affrancamento in quanto relative ad una situazione speculare e assimilabile, finalizzata a rendere il saldo disponibile per la distribuzione”.
Non dello stesso parere i Giudici della Corte di Cassazione, i quali hanno respinto a più riprese l’interpretazione dell’Agenzia, ritenendo che la fattispecie relativa alla distribuzione del saldo in assenza di affrancamento non possa essere trattata alla stregua dell’ipotesi distributiva in presenza dell’affrancamento (Cassazione, n. 32204/2019; Cassazione, n. 11326/2020; Cassazione, n. 19772/2020).
Per questa via, in assenza di una espressa previsione normativa, l’imposta sostitutiva deve essere applicata al saldo attivo di rivalutazione contabilizzato nella posta di patrimonio netto, il quale è determinato al netto dell’imposta sostitutiva (al contrario, si assoggetterebbe a tassazione anche la quota di patrimonio rivalutato non distribuibile).
Secondo gli Ermellini, infatti, “l’inserimento nella base imponibile dell’imposta sostitutiva di rivalutazione finirebbe invece con il colpire un valore superiore (l’importo di tale imposta) rispetto a quello iscritto a riserva in bilancio, e non distribuibile”.