Cessione di azienda “estera” con marchio “italiano”
di Fabio LanduzziL’Agenzia delle Entrate, in occasione della risposta all’istanza di interpello n. 536/2021 ha affrontato il caso di una cessione di azienda intervenuta fra due soggetti – cedente e cessionario – entrambi non residenti in Italia (si tratta di soggetti residenti in Svizzera), e senza stabile organizzazione nel territorio italiano.
La particolarità della fattispecie è rappresentata dal fatto che il complesso aziendale trasferito non include alcun asset presente nel territorio italiano, fatta eccezione per alcuni marchi di impresa registrati presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi.
Il dubbio interpretativo sollevato dall’istante era riferito alla disciplina a cui l’operazione in oggetto doveva essere assoggettata nell’ordinamento tributario italiano, e precisamente ai fini Iva ed ai fini dell’imposta di registro, posto che:
- l’oggetto del trasferimento è costituito da un’azienda;
- l’azienda è situata al di fuori del territorio italiano, sicché non sussiste in Italia alcuna stabile organizzazione né del cedente e né del cessionario;
- nell’azienda non sono inclusi asset situati nel territorio italiano, fatta eccezione per alcuni marchi di impresa registrati in Italia;
- l’atto di cessione è stipulato all’estero, e viene utilizzato in Italia ai soli fini della registrazione della voltura dei marchi presso il competente Ufficio.
Come premesso, ai fini delle imposte indirette si è posto in prima battuta il tema della disciplina applicabile al caso di specie, e precisamente se il trasferimento dei marchi registrati in Italia dovesse essere considerato come parte integrante del trasferimento di azienda anche ai fini Iva in Italia, e perciò essere escluso dall’assoggettamento ad Iva ai sensi dell’articolo 2, comma 3, lett. b), D.P.R. 633/1972, o se invece essere qualificato come un’autonoma prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 3, comma 2, n. 2), D.P.R. 633/1972.
La questione viene affrontata a partire dalle disposizioni di cui all’articolo 19 della Direttiva n. 2006/112/Ce, ai sensi del quale gli Stati membri della UE hanno facoltà di rendere non soggetto ad Iva il compimento di operazioni straordinarie che determinano il trasferimento all’avente causa di un complesso aziendale, al fine di agevolare la continuità dell’attività di impresa; tale facoltà è stata esercitata dal Legislatore italiano il quale, per le operazioni di cessione di azienda, l’ha prevista all’articolo 2, comma 3, lett. b), D.P.R. 633/1972.
Il fatto che l’azienda oggetto di trasferimento includa uno o più marchi non è di per sé ragione di scorporo del solo marchio, ai fini Iva, dalla universalità di beni trasferita (questione chiarita dalla stessa Amministrazione Finanziaria nella risoluzione 48/E/2006, a superamento anche di una datata diversa interpretazione che era emersa in giurisprudenza).
Tuttavia, la questione di fondo è che la norma comunitaria riconosce l’anzidetta facoltà di esclusione da Iva al trasferimento del complesso situato nel territorio di uno Stato membro e, come detto, a condizione che detto Stato abbia esercitato tale facoltà nel proprio ordinamento.
Sebbene questa sia la circostanza dell’Italia, come abbiamo visto, il punto è che l’esclusione da Iva della cessione di azienda è condizionata comunque al fatto che siano preliminarmente verificati i presupposti oggettivi, soggettivi e territoriali di applicazione del tributo; quindi, la norma di esclusione potrà essere applicata dallo Stato membro – ovvero, l’Italia – per le cessioni di azienda ivi considerate territoriali ai fini Iva, circostanza che non è invece verificata nel caso di specie.
Pertanto, non essendo presente nel territorio italiano alcun complesso aziendale, secondo l’Amministrazione Finanziaria non può trovare applicazione l’esclusione prevista dall’articolo 19 della Direttiva, e dall’articolo 2 D.P.R. 633/1972.
Da tale ragionamento si deduce quindi che il trasferimento degli unici asset (i marchi) che hanno una connessione con il territorio italiano, in quanto registrati presso il competente Ufficio in Italia, deve essere autonomamente qualificato in Italia ai fini Iva; e tale qualificazione si trova nell’articolo 3, comma 2, n. 2), D.P.R. 633/1972, in termini di prestazione di servizi.
Ai fini Iva, l’operazione sarà comunque non soggetta in Italia ai sensi dell’articolo 7-ter D.P.R. 633/1972, applicandosi il principio generale della committenza, e stante il fatto che il cessionario è come detto un soggetto non residente in Italia.
Da ultimo, ai fini dell’imposta di registro, si conferma che, poiché l’atto di cessione del complesso aziendale è formato all’estero e non ha per oggetto un complesso aziendale ivi esistente, non si applica l’articolo 2, lett. d), D.P.R. 131/1986, e perciò non vi è obbligo di registrazione in Italia e né di assolvimento dell’imposta di registro; tuttavia, ove si realizzasse il caso d’uso, si renderà dovuta l’imposta di registro in misura fissa di Euro 200,00 ex articolo 11, della Tariffa, Parte II, allegata al D.P.R. 131/1986.