“Ragioni commerciali” possono giustificare finanziamenti infruttiferi
di Fabio LanduzziLa recente ordinanza della Cassazione n. 13850/2021 offre alcuni spunti interessanti in merito all’applicazione della disciplina sui prezzi di trasferimento al caso particolare dei finanziamenti infruttiferi.
Il caso giunto alla Suprema Corte trae origine dalla circostanza in cui una società italiana aveva finanziato una società controllata “veicolo” residente all’estero al fine di acquisire, in via indiretta, una partecipazione di maggioranza nel capitale di una società target estera; l’Amministrazione Finanziaria aveva contestato che “tale finanziamento doveva necessariamente essere remunerato”, e non essere infruttifero di interessi come invece le parti avevano previsto.
In particolare, l’Amministrazione Finanziaria aveva rilevato che la stessa società italiana aveva finanziato altre proprie consociate, sia italiane che estere, applicando in queste circostanze un tasso d’interesse; analogamente, anche il prestito in origine sottoscritto con la società controllata estera chiamata a fungere da veicolo dell’acquisizione prevedeva l’applicazione di un tasso di interesse salvo poi in seguito, mediante una lettera di variazione delle condizioni, essere stato azzerato.
Sono due, in modo particolare, gli spunti di interesse che si possono trarre dal testo dell’ordinanza in commento.
Il primo, consiste nel fatto che la Cassazione cita, nell’ambio del proprio argomentare, il “nuovo” Rapporto pubblicato dall’Ocse nel febbraio 2020 in materia di implicazioni di transfer pricing delle transazioni finanziarie, il quale costituisce il nuovo Capitolo X delle Linee Guida Ocse; la circostanza è senza dubbio particolare, poiché si fa espressa menzione ad un documento pubblicato in una data ampiamente successiva a quella a cui si riferiscono i fatti.
Ad onor del vero, la citazione viene compiuta nell’ordinanza per ribadire il principio secondo cui, nelle operazioni di finanziamento intercompany, la corretta applicazione del principio di libera concorrenza è rilevante non soltanto nella determinazione del valore di mercato dei tassi di interessi applicati, bensì anche per valutare se un’operazione di finanziamento debba essere effettivamente considerata un prestito o, in alternativa, un apporto di capitale proprio.
A tale fine, evidenzia la Cassazione, assume rilevanza anche “l’obbligo di pagare gli interessi“, anche se, richiamando la prassi dell’Agenzia delle Entrate (circolare 6/E/2016), la Cassazione afferma che questa riqualificazione del debito (o di parte di esso) in un apporto di capitale dovrebbe rappresentare nel nostro ordinamento una “misura eccezionale“.
Il secondo spunto interessante che si trae dal documento in esame è il riconoscimento del fatto che non possa escludersi che i finanziamenti gratuiti infragruppo “possano avere cittadinanza nell’ordinamento”, laddove sia dimostrabile che lo scostamento rispetto al principio di libera concorrenza “sia dipeso da “ragioni commerciali” interne al gruppo, connesse al ruolo che la controllante assume a sostegno delle altre società” associate.
Si tratta di un’apertura di tutto pregio, sebbene agli effetti pratici la sua concreta rilevanza deve misurarsi con l’onere probatorio che incombe sulla società concedente il prestito, la quale è chiamata a portare l’evidenza delle valide e apprezzabili ragioni economico-aziendali che possono legittimamente giustificare, nell’ambito del ruolo svolto nel gruppo, l’erogazione di un finanziamento non oneroso.
La Cassazione termina quindi con l’affermazione del principio di diritto secondo cui, in materia di transfer pricing, in applicazione del criterio di riparto dell’onere della prova, in caso di finanziamento infragruppo erogato dalla controllante italiana a una società estera, l’Amministrazione finanziaria deve fornire la prova della transazione ad un tasso d’interesse apparentemente inferiore a quello di mercato, quale presupposto della ripresa a tassazione degli interessi attivi sul finanziamento, “in tutto o in parte non corrisposti, quantificati in base al tasso d’interesse di mercato (osservabile in relazione a finanziamenti aventi caratteristiche sufficientemente comparabili, erogati a soggetti con il medesimo credit rating dell’impresa debitrice associata)”; dall’altra parte, va riconosciuta alla società contribuente la possibilità di fornire la prova contraria, dimostrando l’aderenza del tasso d’interesse applicato ai tassi di mercato, oppure la possibilità di dimostrare che il “finanziamento gratuito è dipeso da “ragioni commerciali” interne al gruppo, connesse al ruolo assunto dalla controllante a sostegno delle consociate“.