7 Ottobre 2021

Le aggregazioni tra studi di commercialisti: un’opportunità per i giovani

di Riccardo Conti di MpO & Partners
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I dati pubblicati all’interno del rapporto 2020 sull’Albo dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili evidenziano un significativo calo del numero degli iscritti al Registro del Tirocinio rispetto all’anno precedente: si è passati dai 13.751 iscritti al 01/01/2019 ai 12.406 al 01/01/2020, con una diminuzione di 1.345 iscritti (-9,8%). Se si allarga l’orizzonte temporale di analisi all’ultimo decennio (2011 vs 2020), si scopre che il numero degli iscritti al Registro del Tirocinio si è praticamente dimezzato (da 25.823 a 12.406).

Questi numeri testimoniano le difficoltà che oggi i giovani praticanti stanno riscontrando nel processo di inserimento all’interno di una professione che, soprattutto negli anni ’80 e ’90, rappresentava uno dei fiori all’occhiello. Vi è, infatti, un progressivo allontanamento dei giovani commercialisti dai tradizionali studi professionali al fine di intraprendere percorsi lavorativi alternativi.

La “crisi di vocazioni” del Dottore Commercialista, così definita dal Presidente dei giovani commercialisti Matteo De Lise, è riconducibile essenzialmente a due motivi: la non attrattività della professione e il calo della redditualità media.

La bassa attrattività della professione del commercialista e dell’esperto contabile, rispetto agli anni passati, può essere ulteriormente dettagliata in una serie di fattori che hanno portato alla significativa riduzione del numero di iscritti al Registro del Tirocinio sopra evidenziata. In primis occorre analizzare l’aspetto relativo alla formazione professionale. Infatti, l’attività di consulenza in ambito commerciale, societario, fiscale e del lavoro, al fine di poter essere esercitata, richiede requisiti professionali maturabili solo attraverso un percorso formativo che richiede sacrifici, risorse e soprattutto tempo. Infatti, per diventare un Dottore Commercialista occorre ottenere una laurea specialistica in ambito economico, svolgere un periodo di tirocinio/praticantato di 18 mesi ed infine superare l’esame di stato per l’abilitazione alla professione. Nella decisione di un giovane intenzionato ad intraprendere questo lungo percorso, è da tenere in conto il concreto rischio rappresentato dalla possibilità di riscontrare delle difficoltà che ne compromettano il completamento, motivo per cui i giovani sono sempre più restii ad avvicinarsi a questa professione.

In secondo luogo, la decisione di un giovane che intende diventare commercialista è frenata da alcune considerazioni di carattere economico. Nel caso di un giovane che si affaccia per la prima volta nel mondo professionale, il più delle volte, il problema principale sotto questo punto di vista è rappresentato dal fatto di non disporre di un pacchetto clienti esistente, elemento essenziale su cui basare l’intera attività. Inoltre, per aprire uno studio di commercialista, è necessario un consistente investimento in spese fisse, quantificato da De Lise in “minimo 50.000€ all’anno”, che, per un giovane senza esperienze lavorative alle spalle, rappresenta un ostacolo non indifferente.

Infine, il lavoro in sé è divenuto più esecutivo e delegato da Stato ed Agenzia delle Entrate e, al tempo stesso, sono esponenzialmente aumentati responsabilità e rischi della professione.

Sempre legata al contesto economico, è la seconda motivazione per cui il numero di giovani iscritti al Registro del Tirocinio è sensibilmente diminuito, ovvero la riduzione della redditualità media della figura del Dottore Commercialista. Infatti, osservando i dati reddituali della Cassa Previdenziale dei Dottori Commercialisti riportati all’interno dell’ultimo report della Fondazione, nel 2019 la media Irpef nominale è stata di 60.962€, di poco superiore ai 59.847€ del 2008. Confrontando meglio i due dati, ossia togliendo l’effetto dell’inflazione ed attualizzando i due valori, emerge che vi è stato un calo di 7.150 euro l’anno, equivalente ad una perdita reale di reddito del 10,8% dal 2008 al 2019. Si può comprendere come questo dato non fornisca uno stimolo per i giovani universitari attratti dall’idea di diventare commercialisti.

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