La città nella casa di Nadia Fava – Recensione
di Francesca Lucente - Bookblogger & CopywriterCosa può colpirti di un libro come La città nella casa di Nadia Fava che tratta di architettura urbanistica?
È esattamente il modo in cui l’autrice tratta l’argomento. Non sale in cattedra a spiegare e fornire nozioni seppur avrebbe tutte le carte e l’autorevolezza per farlo. Docente di questa materia alla Universitat de Girona (Spagna), oltreché Dottore di Ricerca presso l’Universitat Politècnica de Catalunya e architetto all’Università IUAV di Venezia.
Edito da Bette Edizioni, La città nella casa è l’esempio di come un’insegnante come Nadia Fava è stata capace di far proseguire una classe di allievi nello studio dell’architettura urbanistica, mentre tutto il mondo dentro e fuori l’Università si è fermato.
Scritto in tempo di emergenza Covid-19 e in prima fase di lockdown (quando non potevamo affatto uscire dalle nostre case), questo libro ha un’anima: quella degli studenti di Nadia che vivono la città all’interno della loro casa, l’unico posto che potevano abitare, vivere ed a volte addirittura odiare.
L’autrice ha adottato il testo di George Perec, Specie di Spazi, non tanto come lettura ma piuttosto come metodo di studio e di ricerca degli spazi, intesi come dimora e come luoghi da destinare ai diversi utilizzi, connettendosi strettamente prima con le emozioni e poi con la finalità.
L’intimità, i desideri ed i momenti di vita vengono rappresentati dagli studenti tramite fotografie scattate per immortalare gli spazi in cui compiono un’azione o consumano un momento della giornata.
La rassegna davanti alla quale ci troviamo ripercorre il divertimento, lo studio, mangiare, creare, fare musica, amare, ridere, coltivare l’orto e tantissimi altri. Ogni alunno ha contribuito con 4 fotografie e riportando il tratto del libro che più o ha colpito.
Come il libro di Perec insegna, tutto ha inizio e ognuno è partecipe: lettore e scrittore allo stesso tempo, di “un lavoro che proseguirà oltre l’ultima pagina”.
Le 4 foto hanno tratti in comune, l’angolazione di scatto, la volontà di riprodurre delle forme, dei colori – talvolta in bianco e nero, dettate forse dal mood del lockdown – piuttosto che forme di amore, per il proprio gatto, per un oggetto o lo spazio preferito.
Non di rado, anche per noi spettatori della mancanza di vita esterna in piena pandemia, l’unico filtro che ci ha sia divisi che connessi con il mondo esterno era uno: i battenti a vetri della nostra finestra.
E se potessimo essere capaci sempre di guardare fuori dal nostro guscio con la voglia di scoprire cosa c’è oltre al rumore ed al movimento?
Scoprire nuove suggestioni ed un altro tipo di coinvolgimento che la natura, gli spazi e la città (o la campagna) in cui viviamo possono suscitare.