Termine di decadenza di 8 anni per i soli crediti inesistenti
di Angelo GinexIn tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente, l’applicazione del termine di decadenza di 8 anni, previsto dall’articolo 27, comma 16, D.L. 185/2008, presuppone l’utilizzo non già di un mero credito “non spettante”, bensì di un credito “inesistente”, per tale ultimo dovendo intendersi – anche ai sensi dell’articolo 13, comma 5, terzo periodo, D.Lgs. 471/1997 – il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (il credito che non è, cioè, “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter D.P.R. 600/1973 e all’articolo 54-bis D.P.R. 633/1972.
È questo il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 34444, depositata ieri 16 novembre.
La fattispecie disaminata dai giudici di vertice trae origine dalla notifica, ad una s.r.l., di un avviso di recupero con cui veniva contestato l’indebito utilizzo in compensazione di un credito IVA maturato nel 2003 e utilizzato negli anni di imposta dal 2004 al 2008. Veniva contestata la circostanza che in alcuni anni la contribuente non aveva compilato il quadro VE e quindi non aveva realizzato operazioni attive, mentre nel 2006 aveva esposto solo operazioni esenti e ne era derivata l’insussistenza del diritto di detrazione e l’inesistenza del credito.
Avverso tale atto la società proponeva ricorso, il quale veniva accolto e, pertanto, l’Amministrazione finanziaria proponeva appello. La Commissione tributaria regionale del Piemonte accoglieva il gravame, evidenziando che la società aveva posto in essere soltanto operazioni esenti nel 2006 e quindi non sussisteva il diritto di detrazione, sicché il credito d’imposta era da considerare inesistente, con conseguente raddoppio dei termini di accertamento che, nella specie, non erano stati superati.
La società, pertanto, proponeva ricorso in Cassazione deducendo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione dell’articolo 27, comma 16, D.L. 185/2008 e dell’articolo 57, comma 1, D.P.R. 633/1972, in quanto la sentenza di secondo grado era errata nella parte in cui, ai fini della verifica della tempestività dell’azione di recupero, aveva equiparato l’ipotesi della inesistenza del credito d’imposta indebitamente portato in compensazione all’ipotesi della mera non spettanza del credito. Dunque, i giudici di merito avrebbero errato nel non rilevare l’intervenuta decadenza per gli anni 2004 e 2005 trovando applicazione, nella specie, il termine quadriennale, essendo avvenuta la notifica dell’atto impugnato nel 2010.
Innanzitutto, i giudici di vertice hanno precisato che la questione del termine di decadenza in discorso è contenuta nella nuova disciplina prevista dall’articolo 13, comma 5, D.Lgs. 471/1997, introdotto dall’articolo 15 D.Lgs. 158/2015, che, tra l’altro, detta la definizione normativa di credito “inesistente”, stabilendo che è tale quello in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36-bis e 36-ter D.P.R. 600/1973 e all’articolo 54-bis D.P.R. 633/1972.
«Non è affatto casuale, del resto, – ha affermato la Corte – che il raddoppio dei termini di decadenza in discorso sia collegato alla non immediata riscontrabilità da parte del fisco, mediante i suddetti controlli, del carattere indebito della compensazione, la maggior durata giustificandosi, all’evidenza, solo per i casi in cui sia necessaria una più complessa attività istruttoria».
Per effetto della citata novella, quindi, secondo i giudici di legittimità, va superata l’affermazione dei giudici di secondo grado, i quali hanno ritenuto che sarebbe priva di senso logico-giuridico la distinzione tra “credito non spettante” e “credito inesistente” anche perché nella definizione di quest’ultimo può rinvenirsi la conferma della dignità di tale distinzione già sulla base dell’originario impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d’imposta indebitamente utilizzati dal contribuente mediante l’emissione dell’atto di recupero di cui all’articolo 1, comma 421, L. 311/2004 (cfr., Cass. sent. 16.11.2021, n. 34443).
Come evidenziato dalla Cassazione, rispetto a tale ultima disposizione, l’articolo 27, comma 16, D.L. 185/2008 estende il termine di decadenza all’ottennio del relativo utilizzo e concerne la sola “riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi dell’articolo 17, D.lgs. 241/1997”, ossia ad una fattispecie più ristretta rispetto a quella generale in quanto, ritenuta, evidentemente, più grave.
In virtù di tali argomentazioni, il Collegio ha accolto il ricorso sulla base di tale motivo, avendo la Commissione tributaria regionale errato nel considerare irrilevante la distinzione tra “crediti inesistenti” e “crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte” e, pertanto, il giudice del rinvio dovrà verificare la natura del credito e accertarne la connotazione (reale o non reale), alla luce anche della riscontrabilità dei presupposti costitutivi mediante il controllo della dichiarazione, sulla base dei dati da essa emergenti e da quelli in possesso dell’anagrafe tributaria.