Bias cognitivi e sport
di Maurizia Fiori - trainer professionistaDa appassionata di crescita personale e di sport quale sono qualche settimana fa mi sono chiesta: “ma i bias cognitivi come funzionano nello sport?”.
I bias cognitivi sono i pregiudizi che ci muovono nel giudicare, nell’agire verso qualcuno, nel prendere decisioni nella nostra vita.
Questi pregiudizi sono insiti in noi ed essendo parte del nostro substrato emotivo e cognitivo agiscono come degli automatismi mentali perché si attivano senza un vero e proprio controllo razionale da parte nostra.
Il motivo per cui i bias cognitivi sono insidiosi è perché sono naturali.
Si attivano in modo talmente inconscio che nel nostro ragionamento istintivo noi siamo assolutamente convinti di essere nel giusto.
Ma come funzionano i bias cognitivi in ambito sportivo?
Ciò che ho ottenuto da questa ricerca, però, è perlopiù legato all’impatto che hanno i bias cognitivi sui coach di grandi team sportivi, sui commentatori sportivi, sui fan e sugli atleti impegnati in attività agonistica.
Proviamo quindi ad applicare alcune trappole mentali ordite dal nostro cervello al mondo dello sport e vediamo come possono rivelarsi nefasti o essere sfruttati a nostro vantaggio.
Il primo, ca vas sans dire, è il bias dell’inazione, che ci fa preferire l’inazione rispetto a qualsiasi azione, anche la più piccola.
Il “costo” di muoverci è superiore al vantaggio. E quindi rimaniamo immobili.
Questo inganno del cervello lo lego ad un altro altrettanto insidioso, il bias dell’avversione alle perdite, in cui tendiamo a considerare una perdita in misura maggiore rispetto ad un guadagno della stessa entità o anche superiore.
Non iniziare a fare attività fisica risulta molto meno complicato e faticoso rispetto ad iniziarla.
A seguire piazzerei, senza ombra di dubbio, il bias dello status quo, che ci porta a preferire scelte che non cambino le cose, o che cambino il meno possibile secondo l’errata convinzione che una scelta diversa farà peggiorare la situazione.
Quindi ci piace rimanere fedeli alla nostra routine e pensare di cambiarla, iniziando anche con 15 minuti di attività quotidiana, ci sembra uno scenario non plausibile perché potrebbe portarci in conto una gestione diversa della nostra giornata, una diversa organizzazione della famiglia o degli orari, a tutto svantaggio nostro in termini di maggiore stress.
Un bias interessante è la dissonanza cognitiva che mi fa pensare alla nostra vocina interiore che spesso e volentieri cerchiamo di mettere a tacere.
Perché la dissonanza cognitiva non è altro che quello stato di disagio che proviamo quando in pratica “ce la raccontiamo”, ovvero il nostro comportamento differisce dal nostro pensiero.
Eppure sai che se facessi quel “click” avresti molti vantaggi, fisici e mentali.
Sembra però che la dissonanza cognitiva sia efficace nel cambiamento di un atteggiamento quando, ad esempio:
- il riconoscimento sociale ottenuto dal cambiamento di atteggiamento porta a esiti positivi;
- diminuendo le informazioni incoerenti le persone sono modificabili;
- il cambiamento investe la componente cognitiva, emotiva e relazionale;
Volendo traslare questo concetto sul mondo dello sport, chi inizia a fare attività fisica produrrà in se stesso una modifica non solo fisica, ma anche emotiva:
più sicurezza personale,
più capacità di volersi bene,
più apertura verso il mondo sociale
che gli riconoscerà gli sforzi fatti.
La prossima volta che non avrai voglia di alzarti dal divano pensaci bene, potresti riconoscere il bias che te lo impedisce. A quel punto alzati e inizia a muoverti.