Condizioni di variazione della base imponibile Iva per fallimento del debitore
di Gabriele DamascelliÈ contraria agli articoli 90 par. 2 e 273 della Direttiva 2006/112/CE una disposizione nazionale che subordina la rettifica dell’importo dell’Iva alla condizione che il credito insoluto non sia sorto durante i sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento del soggetto debitore.
Queste, in sintesi, le conclusioni della Corte di Giustizia nella causa C-398/20 dell’11.11.2021, in cui il giudice di rinvio dubitava della compatibilità al dato unionale della norma interna che si basava sulla congettura economica secondo cui quanto più il periodo di negoziazione e conclusione di un’operazione tra creditore e debitore è vicina al fallimento di quest’ultimo, tanto più il professionista è in grado di individuare sul mercato i sintomi di tale fallimento. Ciò dovrebbe convincere il creditore, in base alle conoscenze economiche generali, dell’imminenza del fallimento, sicché non sarebbe giustificato consentirgli di rettificare l’importo dell’Iva.
Il giudice del rinvio, non ritenendo che la norma interna fosse giustificata dallo scopo di evitare le evasioni, ha rigettato la costruzione per cui il semplice fatto di effettuare operazioni soggette all’Iva con un operatore economico che può manifestare i sintomi di un fallimento imminente comporta che operazioni siffatte siano a priori fraudolente o effettuate allo scopo di ottenere un vantaggio fiscale ingiustificato.
Per tali ragioni ha rinviato alla Corte di Giustizia per verificare se fosse contraria alla ratio degli articoli 90 (e della facoltà di deroga del suo par. 2 giustificata dall’incertezza del pagamento del corrispettivo) e 273 della Direttiva 2006/112/CE (che consente agli Stati membri di stabilire gli obblighi che essi ritengono necessari ad assicurare l’esatta riscossione dell’Iva e ad evitare le evasioni), nonché al principio di neutralità dell’Iva, una normativa nazionale che stabilisce una condizione in base alla quale un soggetto passivo Iva, qualora il suo obbligo di pagare l’imposta sorga nel corso di un’operazione imponibile a favore di un altro soggetto passivo, non può rettificare l’importo dell’imposta a valle sul valore del credito sorto durante i sei mesi precedenti la decisione di fallimento emessa nei confronti dell’altro soggetto passivo il quale ha effettuato solo un pagamento parziale per detta operazione o non ha pagato affatto.
L’articolo 90 par. 1 della Direttiva 2006/112/CE prevede che, in caso di annullamento, recesso, risoluzione, non pagamento totale o parziale o riduzione di prezzo dopo il momento in cui si effettua l’operazione, è fatto obbligo agli Stati membri di ridurre la base imponibile Iva ogni volta che, successivamente alla conclusione di un’operazione, non viene percepita dal soggetto passivo una parte o la totalità del corrispettivo, e ciò quale espressione del principio fondamentale secondo cui la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto ed il cui corollario consiste nel fatto che l’Amministrazione finanziaria non può riscuotere a titolo di Iva un importo superiore a quello percepito dal soggetto passivo (v. C‑335/19 p. 21).
Il par. 2 dell’articolo 90, che consente agli stati membri, in caso di non pagamento totale o parziale del corrispettivo, di derogare all’obbligo di ridurre la base imponibile dell’Iva di cui al par. 1, è giustificato dall’idea secondo cui il non pagamento della controprestazione può, in alcune circostanze e in ragione della situazione giuridica esistente nello Stato membro in questione, essere difficile da verificare oppure avere carattere puramente temporaneo (C-146/19 p. 23).
Tale deroga però dev’essere giustificata, affinché i provvedimenti adottati dagli Stati membri ai fini della sua attuazione non compromettano l’obiettivo di armonizzazione fiscale della direttiva Iva, e non può consentire loro, in caso di mancato pagamento, di escludere del tutto la riduzione della base imponibile dell’IVA (C‑335/19 p. 29).
Tale deroga mira unicamente a permettere agli Stati di combattere l’incertezza legata alla riscossione delle somme dovute (C‑146/19), le quali possono essere difficili da verificare o avere carattere puramente temporaneo (C-396/16 p. 37), e non disciplina invece la questione se possa non effettuarsi una riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di definitivo non pagamento (C-292/19 p. 22).
Di tale incertezza lo Stato può tenerne conto, nel rispetto del principio di neutralità fiscale, privando il soggetto passivo del proprio diritto alla riduzione della base imponibile finché il credito non presenti un carattere irrecuperabile o concedendogli la riduzione allorché questo segnali una probabilità ragionevole che il debito non sia onorato, fatta salva la possibilità che la base imponibile sia rivalutata in aumento nell’ipotesi in cui il pagamento avvenga comunque (C‑242/18 p. 62).
Tale limite imposto al creditore non può, però, consentire agli Stati di escludere qualsiasi riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di non pagamento definitivo in quanto in contrasto con il principio di neutralità dell’Iva, da cui discende che, nella sua qualità di percettore di imposte per conto dello Stato, l’imprenditore deve essere interamente sgravato del peso dell’imposta dovuta o assolta nell’ambito delle sue attività economiche a loro volta assoggettate ad IVA (C‑146/19 p. 25), qualora questi possa dimostrare che il credito da lui vantato nei confronti del suo debitore presenta un carattere definitivamente irrecuperabile (v. C‑146/19 p. 26 e 27 e C-292/19 p. 25 e 29).
Per tali ragioni la Corte di Giustizia, qui, ha considerato che la condizione generale secondo cui, per effettuare una rettifica della base imponibile dell’Iva, i crediti insoluti non devono essere sorti durante i sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento della società debitrice, non può essere considerata, in mancanza di qualsiasi elemento oggettivo riguardante il contesto in cui si inseriscono i crediti, come volta a contrastare l’incertezza legata alla riscossione di tali crediti, dal momento che non ha relazione con il modo in cui i crediti in questione saranno effettivamente trattati nella procedura fallimentare, non tenendo altresì conto del fatto che alcuni crediti potranno eventualmente, alla conclusione di detta procedura, essere recuperati.
Al contrario, comportando tale condizione un’automatica esclusione di qualsiasi riduzione della base imponibile dell’Iva in caso di crediti insoluti sorti durante i sei mesi precedenti la dichiarazione di fallimento, anche nel caso in cui questi diventino definitivamente irrecuperabili alla conclusione della procedura fallimentare, si contravviene direttamente al principio della neutralità dell’Iva, in quanto la base imponibile non sarebbe costituita dal corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo creditore che dovrebbe, quindi, farsi carico dell’onere dell’imposta in luogo del consumatore e, altresì, tale condizione non può essere considerata atta ad evitare l’evasione fiscale né proporzionata ad un simile obiettivo (C‑335/19 p. 45).
Ai principi qui espressi fa da contraltare il diritto degli Stati membri di individuare le condizioni alle quali subordinare il diritto del creditore ad operare la variazione (C-588/10 p. 23, C-337/13 p. 37 e C-404/16 p. 42), posti i limiti dell’articolo 237 della Direttiva 2006/112/CE che consente di derogare al rispetto delle regole relative alla base imponibile dell’Iva soltanto in maniera strettamente necessaria per raggiungere tale specifico obiettivo (C‑672/17 p. 33).
Occorre che le formalità che i soggetti d’imposta devono adempiere per esercitare la riduzione della base imponibile siano limitate a quelle che consentano di dimostrare che, successivamente alla conclusione dell’operazione, una parte o la totalità del corrispettivo non sarà definitivamente percepita (C-588/10 p. 24 e 25).
Così, ad esempio, in C-672/17, la Corte di Giustizia ha legittimato la norma interna portoghese che subordina la riduzione della base imponibile Iva, in caso di mancato pagamento, alla comunicazione del creditore al debitore contenente il proprio intento di annullare in tutto o in parte l’Iva, non influendo tale condizione sui “limiti” della deroga (C-672/17 p. 42, C-337/13 p. 23 e 36 e C-404/16 p. 27).
Al contrario la Corte di Giustizia in C-335/19, evidenziando che la garanzia di una riduzione simmetrica della base imponibile dell’Iva esigibile e dell’importo dell’Iva detraibile non dipende dal fatto che entrambe le parti rivestano lo status di soggetti passivi dell’Iva, ha ritenuto la norma interna contraria a quella UE nella misura in cui subordinava la riduzione della base imponibile dell’Iva alla condizione che, alla data dell’operazione nonché al giorno precedente la data di presentazione della rettifica della dichiarazione fiscale volta a beneficiare di tale riduzione, il debitore fosse registrato quale soggetto passivo dell’Iva e non fosse sottoposto a procedura d’insolvenza o di liquidazione.
Analogamente la Corte di Giustizia, in C‑127/18, ha escluso il rischio di evasione o elusione fiscale nel fatto di autorizzare un soggetto passivo creditore a ridurre la base imponibile Iva nel caso di non pagamento da parte del suo debitore insolvente che nel frattempo aveva perso la qualità di soggetto passivo.