22 Dicembre 2021

Iva detraibile solo se il sale and rent-back è cessione di beni

di Angelo Ginex
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In un contratto di sale and rent-back, il giudice tributario, nel rispetto delle disposizioni codicistiche relative all’interpretazione del contratto, è tenuto innanzitutto a qualificare correttamente il rapporto contrattuale; da ciò, poi, deriveranno le conseguenze fiscali a seconda che il trasferimento dei beni sia identificato come una cessione di beni rilevante ai fini IVA o come mera operazione di finanziamento esente da IVA.

Sono queste le conclusioni emergenti dalla lettura dell’ordinanza n. 40930 depositata ieri 21 dicembre dalla Corte di Cassazione.

Il caso sottoposto all’attenzione dei giudici di vertice trae origine da una riorganizzazione societaria in seguito alla quale due società stipulavano un contratto per l’acquisto di cespiti con successiva retro-locazione. Più precisamente, una delle due vendeva all’altra i beni oggetto di contratti di locazione in essere con locatari nazionali e successivamente alla cessione, detti beni venivano locati all’altra società. Tale operazione veniva considerata dalla società contribuente operazione imponibile ex articolo 2 D.P.R. 633/1972 e dunque da sottoporre ad Iva con esposizione del tributo nella fattura allo scopo emessa. Una volta pagata dalla cessionaria dei beni, l’IVA veniva chiesta a rimborso dalla società cedente dopo che era stata regolarmente versata all’erario.

Nei gradi di merito veniva negata la detrazione dell’Iva relativa alla suddetta operazione, in quanto, secondo la Commissione tributaria regionale, il rapporto commerciale di compravendita e successiva locazione doveva essere riqualificato come contratto di mutuo o, comunque, come operazione di finanziamento con conseguente regime di esenzione IVA e rigetto della richiesta di rimborso.

Pertanto, la contribuente proponeva ricorso per cassazione deducendo, tra gli altri motivi, la violazione e falsa applicazione degli articoli 1197, 1241, 1252, 1325, 1362, 1367, 1470, 1571, 2744 cod. civ. e dell’articolo 10 D.P.R. 633/1972, dell’articolo 14 disp. prel. cod. civ., oltre che dell’articolo 135 Direttiva 2006/112/CE.

La ricorrente asseriva che fossero state violate le norme di diritto civile in materia di interpretazione dei contratti con conseguente illegittima qualificazione dell’operazione di una compravendita seguita da una retro-locazione come esente da Iva in quanto costituente operazione di finanziamento, con ciò negandosi la detrazione del tributo indiretto addebitato da una s.r.l. in sede di cessione dei beni compravenduti e ripresi poi in locazione in direzione inversa.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha ritenuto fondata la suddetta doglianza, rilevando che la Commissione tributaria regionale ha violato le norme relative all’interpretazione contrattuale non avendo esaminato «né la durata del rapporto di rent successivo all’operazione di sale alla luce della pacifica mancanza di una clausola di riscatto, né l’ammontare dei canoni pattuiti a fronte della ripresa in locazione dei beni, né il valore di mercato dei beni oggetto del contratto durante lo stesso e alla conclusione della locazione».

I giudici di vertice infatti hanno rammentato che profilo essenziale che differenzia il sale and lease back dal sale and rent back è l’assenza della clausola di riscatto che impedisce all’originario proprietario del bene di porre nel nulla gli effetti della prima cessione, impedendo che si abbia il ritorno del bene all’originario proprietario, sia pure concedendogli di non subire alcuna immediata soluzione di continuità del proprio potere di disposizione del bene (cfr., Cass. sent. 21.06.2021 n. 17710).

Nella fattispecie in esame, secondo la Corte, i giudici di merito avrebbero dovuto individuare correttamente la causa del contratto esaminando la volontà delle parti, l’assenza della clausola di riscatto, la concreta durata del rapporto di retro-locazione (c.d. rent-back) e l’ammontare dei canoni di locazione a fronte del prezzo di trasferimento del bene anche in relazione al residuo valore del medesimo esaurito il periodo di locazione.

L’interpretazione della Commissione tributaria regionale, inoltre, si è basata solo sulle singole pattuizioni, che sono state esaminate singolarmente e non nel loro complesso unitario, così finendo per attribuire rilevanza, ai fini della riqualificazione del contratto come finanziamento (invece che come compravendita e ripresa in locazione dei beni), ai soli motivi delle parti e non alla causa in concreto perseguita, anche nell’interesse del gruppo societario al quale le società appartengono.

Da ultimo, la Cassazione, cassando con rinvio la sentenza impugnata, ha concluso che il giudice del rinvio, nel rispetto delle disposizioni codicistiche relative all’interpretazione del contratto, dovrà procedere ad una corretta qualificazione del rapporto contrattuale e dunque all’identificazione del trasferimento dei beni come cessione rilevante ai fini Iva o come mera operazione di finanziamento (esente dal tributo in parola).

Nel caso di qualificazione come “cessione di beni”, l’Iva versata dalla ricorrente dovrà essere rimborsata in accoglimento del ricorso originario, altrimenti sarà la società cessionaria a doversi vedere restituita l’Iva versata.