17 Gennaio 2022

La tassazione CFC continua a prescindere dalle condizioni di accesso

di Marco Bargagli
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La scheda di FISCOPRATICO

In questo secondo speciale riferito alle regole fiscali previste in materia di imprese estere controllate (c.d. “CFC legislation”), faremo riferimento ad un aspetto affrontato dalla recente circolare 18/E/2021 che sta creando numerose perplessità tra gli addetti ai lavori.

Cosa succede se negli esercizi successivi alla tassazione per trasparenza dei redditi prodotti all’estero da parte dell’impresa controllata estera, non si realizzano più – congiuntamente – le due condizioni pregiudiziali di accesso previste dall’articolo 167, comma 4, lett. a) e b) Tuir?

Dalla lettura della normativa, infatti, occorre valutare che le regole CFC scattano al ricorrere di una duplice condizione che riguarda i soggetti controllati esteri, ossia quando:

  • gli stessi sono assoggettati a tassazione effettiva inferiore alla metà di quella a cui sarebbero stati soggetti qualora residenti in Italia;
  • oltre un terzo dei proventi iscritti nel conto economico della CFC rientra in una o più delle seguenti categorie:
  1. interessi o qualsiasi altro reddito generato da attivi finanziari;
  2. canoni o qualsiasi altro reddito generato da proprietà intellettuale;
  3. dividendi e redditi derivanti dalla cessione di partecipazioni;
  4. redditi da leasing finanziario;
  5. redditi da attività assicurativa, bancaria e altre attività finanziarie;
  6. proventi derivanti da operazioni di compravendita di beni con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate con soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente;
  7. proventi derivanti da prestazioni di servizi, con valore economico aggiunto scarso o nullo, effettuate a favore di soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano il soggetto controllato non residente, ne sono controllati o sono controllati dallo stesso soggetto che controlla il soggetto non residente.

Sul punto, giova ricordare che la ratio legislativa in materia di imprese estere controllate, è quella di contrastare le strutture di puro artificio sulla base degli indicatori illustrati dall’Agenzia delle entrate nella famosa circolare 51/E/2010.

Sulla base di quanto chiarito dal citato documento di prassi, una “struttura di puro artificio” non svolge una reale attività economica, non possiede alcuna autonomia gestionale e finanziaria, risulta essere “sotto-capitalizzata” (spesso con un capitale sociale sottoscritto e versato di pochi euro) ossia, in altri casi, eccessivamente sovra-capitalizzata rispetto alla minima attività economica posta in essere.

Interessanti considerazioni riguardanti sempre le strutture artificiose, seppur riferite al tema del beneficiario effettivo e al Treaty Shopping, sono state formulate anche da parte della Corte di giustizia dell’Unione europea, nelle attese sentenze pubblicate in data 26 febbraio 2019, che riguardano i c.d. “casi danesi” (cause riunite C-116/16 e C- 117/16 – riferite all’applicazione della direttiva comunitaria “madre-figlia” – e cause riunite C-115/16, C-118/16, C-119/16, C-299/16 – riguardanti il trattamento fiscale della direttiva “interessi-canoni”).

A tal fine, i giudici unionali hanno definito la costruzione di puro artificio: la stessa può essere individuata in un gruppo societario che non riflette una reale sostanza economica, ma risulta caratterizzato da una struttura puramente formale avente come obiettivo principale, ovvero uno degli obiettivi principali, il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale in contrasto con normativa tributaria applicabile.

Sulla base di tale rigoroso solco interpretativo, l’Agenzia delle entrate, nella circolare 18/E/2021, affronta due temi di centrale importanza.

La prima ipotesi riguarda il caso in cui il socio controllante residente abbia tassato per trasparenza la CFC in alcuni esercizi e, successivamente, venga dimostrata la sussistenza dell’esimente dell’attività economica.

In merito, il passaggio dal regime di imposizione del reddito estero alla disapplicazione della norma antielusiva non comporta l’imposizione dei plusvalori (o minusvalori) latenti della CFC.

Quindi, l’uscita dal regime di tassazione per trasparenza non è considerata realizzativa ai fini delle imposte sui redditi.

La seconda ipotesi è quella in cui l’impresa controllata estera venga tassata per trasparenza, ad esempio, negli esercizi N e N+1, mentre nell’esercizio N+2 non integra le condizioni del tax rate test o del passive income test ex articolo 167, comma 4, lett. a) e b), Tuir.

Appare di tutta evidenza, infatti, che il livello di tassazione e la percentuale di passive income possono subire oscillazioni di anno in anno.

Sul punto, l’Agenzia delle entrate chiarisce che “In continuità con quanto già chiarito nella precedente circolare n. 23 del 2011, si ritiene che una volta che si sia reso applicabile il regime di imputazione dei redditi di una CFC, tale regime (ad eccezione, ovviamente, nell’ipotesi di perdita di controllo sulla entità estera) non può essere modificato sulla base dell’andamento degli indicatori di cui di cui all’articolo 167, comma 4, lettere a) e b) del Tuir”.

In particolare, al punto n. 7.3 della circolare 23/E/2011, era stato posto il seguente quesito: una società residente in Italia, che detiene il controllo di una società estera, localizzata in uno Stato o territorio non black list, non effettua i calcoli richiesti ai fini del superamento del tax rate test e del passive income test (..), preferendo tassare per trasparenza i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato. Analogo comportamento è adottato da una società residente titolare di una partecipazione di controllo in una società o ente non black list, che verifica entrambi i test sopra citati. Con riferimento ad entrambe le fattispecie rappresentate, era stato richiesto se la scelta effettuata possa essere autonomamente modificata dal contribuente qualora in uno degli esercizi successivi, a seguito dell’effettuazione dei calcoli richiesti, non risultino verificati i menzionati test”.

L’Agenzia delle entrate ha risposto che: La tassazione per trasparenza in capo al controllante residente rappresenta il regime fiscale naturale che la CFC rule prevede per le costruzioni di puro artificio. L’adozione di tale regime non può, pertanto, essere basata su valutazioni di convenienza del contribuente residente, ma su circostanze di fatto attinenti all’artificiosità o meno della struttura estera. In tale prospettiva, detto regime di tassazione, una volta adottato dal contribuente, non può essere autonomamente modificato dallo stesso sulla base esclusiva dell’andamento dei calcoli richiesti ai fini del tax rate test e del passive income test. Conseguentemente, il contribuente che, rinunciando alla presentazione dell’interpello disapplicativo previsto, decide di sottoporre il reddito della CFC alla tassazione per trasparenza, è obbligato a mantenere tale comportamento fino a quando non dimostri, nell’apposita sede dell’interpello disapplicativo di cui all’articolo 167, comma 8-ter, del Tuir, la non artificiosità della struttura estera, con conseguente disapplicazione riconosciuta dall’Amministrazione finanziaria”.

In definitiva, sulla base dei citati chiarimenti di prassi, qualora un’impresa sia stata assoggettata a tassazione in un determinato esercizio, con correlata compilazione del quadro FC del modello redditi, la stessa potrà fuoriuscire dal regime in due soli casi previsti dalla normativa:

  • nell’ipotesi di perdita del controllo non artificiosa;
  • in caso in cui questa svolga un’attività economica effettiva.

In particolare, si ricorda che la tassazione dei redditi esteri non si applica qualora il soggetto residente in Italia dimostra che il soggetto controllato non residente svolge un’attività economica effettiva, mediante l’impiego di personale, attrezzature, attivi e locali (articolo 167, comma 5, Tuir).