Il lavoro sportivo dilettantistico e la giurisprudenza della Cassazione – I° parte
di Guido MartinelliMarilisa RogolinoDopo la decisione della CTR Trentino Alto Adige che avevamo commentato il mese scorso (“La giurisprudenza e la riforma del lavoro sportivo” in Euroconference News del 6 dicembre scorso), la Suprema Corte di Cassazione ha continuato il suo lavoro di nomofilachia con una serie di sentenze, tutte emesse durante le recenti vacanze natalizie, sul lavoro sportivo dilettantistico (sentenze nn. 41397/2021; 41467/2021; 41418/2021; 41419/2021; 41420/2021; 41468/2021; 41570/2021; 41729/2021; 175/2022; 177/2022; 952/2022; 953/2022; 954/2022).
Tredici decisioni, tutte della sezione lavoro, univoche e conformi nel ritenere che, in presenza di una attività sportiva dilettantistica svolta a titolo oneroso, con continuità, in maniera professionale, i compensi sportivi dilettantistici di cui all’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir non possano essere riconosciuti (“… non consente di includere all’interno dell’area dei redditi diversi le somme percepite da coloro i quali svolgono professionalmente le attività cui le somme si riferiscono..).
Queste decisioni si pongono in netta controtendenza rispetto ad un’ampia giurisprudenza di merito.
Secondo la Corte d’appello Firenze, sentenza n. 683/2014: “… la finalità perseguita dal legislatore è quella di realizzare un regime di favore a vantaggio delle associazioni sportive dilettantistiche esentando dal pagamento dell’imposta (e della contribuzione) quanto queste corrispondano in forme di rimborsi forfettari o di compensi non solo agli atleti ma anche a tutti coloro che collaborino con mansioni tecniche o anche gestionali, al funzionamento della struttura riconosciuta dal Coni. Vi sottende, ovviamente, la necessità di incentivare questo tipo di attività e di alleggerirne i costi di gestione, sul presupposto della oggettiva valenza della funzione, anche educativa che consegue all’esercizio di attività sportive non professionistiche“.
Il Tribunale Ancona, con sentenza n. 3642/2011 ha statuito quanto segue: “deve, pertanto, ritenersi che il legislatore abbia previsto l’esonero da tassazione e contribuzione in favore dell’intera attività sportiva dilettantistica, in tutte le sue manifestazioni, anche laddove non strettamente collegate ad un evento agonistico, così come reso evidente dall’inclusione in tale esonero anche delle attività di carattere amministrativo-gestionale”.
Sul punto si veda anche la sentenza della Corte d’Appello Milano, Sez. Lav., n. 1172/2014 secondo la quale il mancato riferimento alla non professionalità per le prestazioni sportive dilettantistiche contenuto nell’articolo 67, comma 1, lett. m), Tuir sarebbe significativo della voluntas legis di non attribuire alcuna rilevanza a detto requisito: ci sarebbe “una sorta di presunzione del carattere non professionale delle prestazioni in esame”.
Ma l’orientamento di legittimità in esame appare anche in controtendenza rispetto ad una precedente pronuncia della Suprema Corte: “.…invero, in un’ottica premiale della funzione sociale connessa all’attività sportiva dilettantistica, quale fattore di crescita sul piano relazionale e culturale, il legislatore ha inteso definitivamente chiarire che anche i compensi per le attività di formazione, istruzione ed assistenza ad attività sportiva dilettantistica beneficiano dell’esenzione fiscale e contributiva, senza voler limitare, come in precedenza in alcuni ambiti sostenuto, tale favor alle sole prestazioni rese in funzione di una partecipazione a gare e/o a manifestazioni sportive…” (Cassazione Civile, Sez. lavoro, ordinanza n. 24365 del 30.09.2019).
Il Collegio, in tutte le tredici decisioni in commento, che ripetono le medesime motivazioni, ripercorre la storia legislativa in ordine alla tutela assicurativa dello sport fino al quadro normativo attuale.
Dopo aver ricordato la disciplina dello sport professionistico e la scelta verso la subordinazione per presunzione legislativa, la Corte punta a distinguere la prestazione sportiva dilettantistica inquadrata come attività a carattere ludico da quella svolta nell’ambito di una prestazione sinallagmatica a carattere lavorativo.
Viene quindi definitivamente smentita la tesi che inquadrava il lavoro sportivo dilettantistico come norma speciale e fattispecie dotata di terzietà rispetto ai criteri ermeneutici del lavoro autonomo o del lavoro subordinato sulla quale si era posta anche la prassi amministrativa.
In tale direzione si erano posti prima il Ministero del Lavoro con la sua nota del 21 febbraio 2014 prot. n. 4036 (“In questo quadro il Ministero ravvisa pertanto l’opportunità di farsi promotore d’intesa con Inps di iniziative di carattere normativo volte ad una graduale introduzione di forme di tutela previdenziale a favore di soggetti che, nell’ambito delle associazioni e società sportive dilettantistiche riconosciute dal Coni, dalle Federazioni Sportive Nazionali nonché dagli enti di promozione sportiva, svolgono attività sportiva dilettantistica nonché attività amministrativa gestionale non professionale ex articolo 67 primo comma lett. m) ultimo periodo del Tuir”) e, successivamente, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro con propria lettera circolare del 01.12.2016 n. 1/2016 (che testualmente riporta: “… la volontà del legislatore … è stata certamente quella di riservare ai rapporti di collaborazione sportivo – dilettantistici una normativa speciale volta a favorire e ad agevolare la pratica dello sport dilettantistico rimarcando la specificità di tale settore che contempla anche un trattamento differenziato rispetto alla disciplina generale che regola i rapporti di lavoro…”).